domenica 21 giugno 2009

A wop bop a lu bop, a wop bam boom

Fresco, colorato, con un indovinato cast e una sceneggiatura modellata sulla splendida colonna sonora. “I love Radio Rock” (The Boat That Rocked) è zeppo di potente Rock’n’Roll, profondo Soul e sfavillante Rhythm and Blues.
Il lungometraggio di Richard Curtis ripercorre la vera storia di una ciurma di dj rockettari che – è il caso di dirlo – in balia delle onde trasmette illegalmente musica da una nave.
Sotto mentite spoglie il cargo, in realtà una stazione radiofonica in piena regola, diffonde il meglio della musica anni ’60 per tutto il giorno, dal freddo Mare del Nord alla (insospettabile) calda audience inglese.
Una commedia davvero hype con il solito strepitoso Philip Seymour Hoffman, ma soprattutto un film tutto-musica che si pone lì tra Alta Fedeltà, Reign Over Me e School Of Rock.


Bombardare il Regno Unito nel 1966. Ventiquattr’ore su ventiquattro. Dal mare. Colpire i sudditi di Sua Maestà sì, ma a suon di Rock. E’questo l’intento della nave ormeggiata al largo delle coste inglesi. Si tratta di un mercantile occupato da una ciurma di fricchettoni che trasmette illegalmente programmi radiofonici anticonformisti pronti a far dimenticare il noioso palinsesto della BBC.
Rompere gli schemi precostituiti, sconfiggere un bellicoso ministro del governo inglese, far respirare anche ai glaciali inglesi l’odore della libertà attraverso il mezzo radiofonico, mandare in onda la potenza degli Who, i riff dei Kinks, il suono di Hendrix, il miscuglio dei Cream, la melodia di Martha and the Vandellas e il fragore degli Stones per tutto il giorno: a questo serve l’osteggiato progetto di Radio Rock. Certo, anche ad aprire una breccia in un mercato nuovo, s’intende, ma prioritariamente ad esprimere un diverso concetto di radio. Libera.
Gli otto “pirati” dell’etere trovano terreno fertile in un paese che prevede solo 45 striminziti minuti di programmazione Rock. I novelli carbonari, invisi al potere, sono costretti ad ingaggiare con il borioso Kenneth Branagh, una battaglia davvero prodiga di divertenti gag culminanti in sproloqui (e turpiloqui) radiofonici da una parte, e striscianti trame di annientamento dall’altra.
Tanto per rendere le cose subito chiare circa il genere di musica scelto per le immagini, viene affidato ai Kinks dei fratelli Davies il compito di bagnare la pellicola con il corroborante “All Day And All Of The Night”, hard rock ante litteram. La band britannica condivide, tra gli altri, la colonna sonora con i connazionali Cream, presenti con quella “I Feel Free” non inclusa nella prima edizione inglese dell’album “Fresh Cream”, e con l’arcinota With Girl Like You dei meno noti Troggs (quelli di "Wild Thing" che tanto piace alla E Street Band in questo periodo).
Ecco come l’emittente clandestina diventa nel suo piccolo precorritrice di tempi e messaggera di novità che su vasta scala e in ben altro modo, porteranno a quello storico e rivoluzionario ’68. I disc–jockey, del resto, vivono in barca alla stessa stregua di una comune, fanno proprio il motto “make love, not war”, perfino una lesbica fa parte dell’equipaggio e il viaggio, beh, quello non è solo uno spostamento fisico … Tutto sotto gl’occhi del giovane Carl, ultimo arruolato a bordo, in cerca di se stesso ma anche di qualcos’altro.

Il film non dispensa inquadrature a nutrite schiere di dischi, pile di vinili rivestiti da cartoni che ritraggono gli eroi del Rock’n’Roll (è un paradiso visivo quello che si schiude agli occhi sullo scorrere dei titoli di coda), puntine in primissimo piano su solchi di LP danzanti come dervisci rotanti e voci nuove che introducono e sfumano il pezzo con toni inconsueti, a tratti eccentrici, a volte suadenti oppure rozzi, insomma spontanei.
Dischi da custodire come tesori anche in tragici momenti (Bob, dj stagionato, che sprofonda nelle acque con la sua “ricchezza”). Senza dubbio oggetti ma che, diversamente da altre suppellettili, sprigionano un corredo di emozioni che non ha pari. Musiche elettrizzanti o pallide, liriche impegnate o spensierate: tutto l’umano arco emozionale inciso in microsolchi. Difficile abbandonarli, anche a costo di rimetterci la pelle. E poi, a proposito di emozioni estreme, è affidata al “Conte” (ovvero Hoffman) la battuta più divertente di tutto il film. Nell’intraprendere una spericolata sfida con il compagno e rivale Gavin (Rhys Ifans), l’uomo dalla “barba alla Fu Manchu” cerca coraggio in una massima del Reverendo Richard Wayne Penniman (Little Richard) che riassume tutta una filosofia di vita, ovvero: “A wop bop a lu bop, a wop bam boom!”.
Strepitosamente rockeggiante!

2 commenti:

Colonnello Walter Kurtz ha detto...

Ottima recensione per uno dei film che più ho apprezzato negli ultimi mesi, pur essendo io incompetente in musica.

Ti comunico ufficialmente che stai diventando uno dei miei critici cinematografici preferiti.

Kurtz.

Francesco Santoro ha detto...

Ciao Kurtz!
Ricevere siffatto commento da un cinefilo come te, mi riempie d'orgoglio! Mi sento davvero appagato, grazie.
Ovvio, non correrò il rischio di mettere a repentaglio il giudizio ottenuto, quindi non scriverò mai più nulla di cinema. :-D

P.S.: mi sa tanto che di musica ne capisci ... eccome!