giovedì 4 giugno 2009

Roots Connection - Animystic

Dobro e sintetizzatori, slide e sequencer, vecchi arnesi artigiani e macchine moderne sono i ferri del mestiere adottati per realizzare Animystic.
Il secondo lavoro dei Roots Connection è un album dalle eterogenee matrici musicali che s'intrecciano e danno vita ad un legame simbiotico quasi sempre ben calibrato.
Pubblicato postumo, vede la luce solo dopo la prematura dipartita del leader Enrico Micheletti idealmente congiunto ai suoi ispiratori, Robert Johnson e Leadbelly, nell’Olimpo dei bluesman.

Bagana Records, 2009

Fondere il Blues del Delta con sintetizzatori e sitar è un'ardua impresa, ma i Roots Connection ci riescono rendendo fruibile, anche a chi non è avvezzo, un linguaggio musicale che affonda le proprie radici nella segregata comunità afroamericana degli anni '20.

Enrico “Mad Dog” Micheletti (già con la Hard Time Blues Band), cantante, chitarrista e leader del trio nato nove anni fa a Reggio Emilia, porta a termine un progetto ambizioso per poi lasciarci, a 57 anni, dopo scorribande su palchi di mezzo mondo (USA inclusi), prestigiose collaborazioni (con l'eroe irlandese Rory Gallagher) e inviabili duetti (con John Lee Hooker, big della “musica del diavolo”).

Per dare un titolo all’album è stato coniato un nuovo termine, “Animystic”, sorto dalla fusione tra le parole “animismo” e “mistico”: una definizione nata per rappresentare la luce spirituale che a sprazzi illumina le tracce del disco.

Standard blues e voce sabbiosa costituiscono il nucleo sul quale poggiano Another Man Done Gone e Lemon Juice, mentre nell’introduttiva Wake Up sitar e percussioni orientaleggianti si ritagliano la parte principale in un album composto da dieci ruvidi brani levigati da suoni sintetici, e cantati integralmente in inglese.

In una sala d’incisione ricca di effettistica non proprio affine al genere, Ferraboschi al basso e Tavernelli alla batteria supportano Micheletti tanto quanto il dobro e il bottleneck mentre Lucia Tarì, ospite nel fresco soul di In My Song, sortisce una gradita divagazione sul tema principale.

Fallisce, invece, la troppo alternativa Johnny Too Bad con quel suo eccentrico ritmo dance in levare. Ma è la rilettura della sempre affascinante Dream Baby Dream dei Suicide la vera chicca: dopo aver sedotto Bruce Springsteen, che l’ha regolarmente eseguita nel “Devils & Dust Tour” del 2005, la dolce ballad elettronica qui viene riproposta in una versione blues vagamente rumorista.

Delicata, malinconica ed ammaliante Ring Them Bells lascia il segno per l’ineccepibile stile canoro dell’ospite Alberto Morselli (ex Modena City Ramblers) che, con voce sepolcrale, accompagna le ultime note di chitarra acustica di Micheletti.

Animystic, in sintesi, racchiude gli elementi di eterna lotta fra tradizione e progresso e per una volta riesce a far coesistere, discretamente, vecchia scuola blues e nuovi suoni del millennio.
Progressista è, dunque, il lavoro che chiude la vita artistica del bluesman di razza; poetica, invece, è l’uscita di scena dell’uomo che ha vissuto on the road: le ceneri di Micheletti vengono affidate alle correnti del mare per un ultimo infinito viaggio. A voler credere alla religione animista, richiamata nel titolo del disco, si potrebbe affermare che lo spirito del musicista italiano sarà capace di manifestarsi tra le pieghe di questo album, ogni volta che verrà ascoltato.
Rest in peace “Mad Dog”.

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