
Havdale ha scritto i brani dopo una tournée europea, scrollandosi di dosso il fardello di sensazioni che, a quanto pare, hanno contribuito ad appesantirne il ritorno a Toronto. Una zavorra di merce danneggiata (damaged goods, appunto) di cui sbarazzarsi al più presto. Per farlo il musicista si è rintanato in un rifugio campestre adatto per seppellire le angosce e rievocare astrazioni buone per essere fissate su demo. Concetti eterogenei – quali il voodoo, le notti d’estate, i lunghi viaggi e certe impressioni ad un passo dalla morte – animano canovacci poi riarrangiati con la band.
A metà del racconto, febbrili visioni personali schiudono una fessura temporale che evoca magia dal passato. E’ una parentesi sospesa, un inciso che provvede a spezzare la concatenazione tra i timbri rock degli anni ’90 e i richiami riot dei ’70. “You just keep me hanging on” è solo una perifrasi, ma vale un mondo intero: dà valore aggiunto ad un tema ormai abusato. Inclusa in Hard Love, la lirica dà l’impressione di trarre ispirazione dal Lou Reed della celeberrima Perfect Day.
In Damaged Goods, i suoni familiari non si insinuano, ma si esaltano distintamente (e non in una accezione negativa). Qualcuno dice che il rock non dovrebbe rasserenare, ma scuotere. Eppure, di tanto in tanto, è bello tenere le terga al caldo. L’impeto controllato di Voodoo e il languido fluire di 1000 Violins offrono conforto alla tesi. Gold Rivers, struttura regolare e voce sbilenca, è bella su disco ma induce ad ipotizzare scenari sfavillanti dal vivo, in quella dimensione che i Mohawk Lodge reputano fondamentale (il tour italiano farà tappa il 28 novembre a Roma, il 29 a Milano e il 30 a Sermide).
Damage Goods è un album che racchiude molti di quei tratti distintivi che hanno dato il fremito agli innamorati delle andature rock. Questo disco sembra scaturire dal desiderio di voler mantenere intatto un antico e passionale legame.