Il mondo del lavoro permea una grande parte del songbook di Bruce Springsteen. L’occupazione (o la sua mancanza) determina una serie di conseguenze che influenzano fortemente la condizione umana dei personaggi al centro della sua opera.
E’ questo l’humus che alimenta le redici di Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni. Il libro di Alessandro Portelli, pubblicato da Donzelli Editore, rende vivido l’aspetto proletario delle canzoni di Springsteen, lo inquadra in un contesto letterario, storico e lo interconnette all’attualità e alla discografia di altri cantori del lavoro.
Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni di Alessandro Portelli – docente di Letteratura angloamericana all’Università “La Sapienza” di Roma – indaga la produzione narrativa che il cantautore del New Jersey incentra sul lavoro, tòpos dell’esperienza artistica di Springsteen: il lavoro che avvia il processo di crescita personale, il lavoro quale propulsore del riscatto sociale.
Come indica il titolo del libro, è Badlands, brano foriero dell’urgenza di affrancare la propria vita dal disprezzo, il leitmotiv che cuce i capitoli uno per uno. Le sue liriche rivelano un protagonista furioso e disilluso, eppure razionale e incline tanto all’autodeterminazione quanto alla denuncia sociale. Sono dinamiche che animano tutto Darkness On The Edge Of A Town, l’album dischiuso proprio dalle note di Badlands.
Il libro di Alessandro Portelli ha il grande valore di rigenerare il significato di brani “inariditi” dall’ascolto, di parole che, a furia di essere mandate a memoria, hanno ormai raggiunto la sazietà semantica. Portelli esprime un punto di vista soggettivo sull’opera di Springsteen ma scandito dall’oggettività del letterato – nonostante il palese coinvolgimento emotivo e una personale aneddotica. Springsteen e l’America: ovvero come Springsteen interpreta la “terra delle possibilità” riflettendo sulla tanto enfatizzata mobilità del lavoro che dovrebbe promuovere il riscatto sociale ma che, più spesso, degrada in ricatto sociale. L’indagine di Portelli ripercorre quel coacervo di umiliazioni che caratterizzano le dinamiche comportamentali dei protagonisti delle canzoni di Springsteen. Fatiche, benefici, privazioni, successi, iniquità che risollevano o demoliscono la vita di un nugolo di personaggi.
“Un lavoro che non ti ispira è come una condanna” scrive Portelli, sostenendo un epifonema pronunciato da Springsteen “in uno dei suoi rari interventi politici in pubblico”. Il musicista auspica un’America in cui tutti possano ottenere “un lavoro che ti soddisfa, che dà senso e motivazione alla vita”, ma l’utopia di un’ascensione occupazionale è quasi sempre frustrata nelle sue canzoni. Forse solo in Darkness on the Edge of Town, la title track del disco pubblicato nel ’78, Portelli ravvisa gli estremi per delineare “l’unica storia di mobilità verso l’alto in tutto il canone di Springsteen” (Now I hear she's got a house up in Fairview, and a style she's trying to maintain […] Some folks are born into a good life, other folks get it anyway anyhow. I lost my money and I lost my wife) ma con l’inevitabile risvolto negativo, un contrappeso quasi sempre presente “quando si parla di gente coi soldi” invischiata in vicende dai risvolti opachi.
Anche Born In The U.S.A., il brano più popolare di Springsteen, “condensa tre temi di fondo: l’orgoglio patriottico, l’esperienza della guerra, la condizione operaia”. L’orgoglio patriottico, abbinato all’ostentazione di un’estetica da scaricatore di porto postmoderno, è quello che ha alimentato un persistente bias cognitivo mistificatorio: Springsteen nazionalista tout court. Eppure, scrive Portelli, è ben chiara la posizione del reduce dal Vietnam (l’io narrante born in the U.S.A.) “offeso in quanto americano, perché l’America ha fatto ai suoi cittadini una promessa e non l’ha mantenuta, ha fatto balenare un sogno che continua a rinviare”.
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