Nel marasma di scialbe pubblicazioni reclamizzate in pompa magna, con toni enfatici e sparate sensazionali, conforta apprendere che qualcuno risponde solo ad urgenze scevre dai meccanismi del sistema, asservite unicamente alla spontaneità del momento.
Con una pubblicità che neanche può essere definita tale, Michele Giuliani promuove la sua idea di musica. Con poche righe autografe annuncia l’uscita di un nuovo album, affidando i suoi tormenti a un messaggio email capace di far coesistere timidezza ed ira per il letale mix di nefandezze e mercificazione che ha quasi annientato la sensibilità all’arte.
Pianista eclettico, Giuliani è autore che varca spesso i confini del jazz e della world per tornare alle radici del tutto, ad un’essenzialità schietta. A long way down to the roots – Michele Giuliani plays Duke Ellington impiatta il nòcciolo e getta la polpa. Radicalizza lo scontro tra spessore artistico e futilità presentando un monologo per pianoforte che indaga l’origine del legame tra alcune composizioni di Duke Ellington e i suoni dell’Africa. Una fascinazione che il maestro americano riporta in varie partiture, African Flower su tutte.
A long way down to the roots è proposta autentica che Giuliani offre con un sentito, ma tutt’altro che deferente, tributo all’eccellenza jazz. Reso integralmente disponibili in rete, “il disco” espone dieci reinterpretazioni intrecciate dall’improvvisazione e guidate da ipnotiche suggestioni. Un viaggio immaginifico e libero, in ogni senso, che riporta in auge raffinatezza e profondità artistica.
Affidare queste cover allo streaming gratuito non arricchisce, ma buttare sangue per la musica ripaga moralmente e contribuisce a svelare la qualità. Proprietà umana e professionale che a Michele Giuliani non manca.
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