“Chi si somiglia si piglia”. Il pubblico dei concerti rispecchia l’artista che si esibisce. Tanto semplice e lampante da risultare banale.
L’altra sera a Molfetta,
Sting ha richiamato una folla di gente ben vestita, ben educata, ben truccata, ben pettinata tanto da farmi sentire come un alieno al party.
In più mi hanno costretto ad interpretare la parte dell’insolente, quella del “fotografo” (no, non lo sono affatto) che ha sfidato i coriacei ometti della security per scattare immagini sotto al palco. Eh sì, il buon Sting, sessant'anni, le gambette secche, il bicipite sul flaccido andante, ma un fascino (vista la massiccia presenza femminile) ancora intatto, non vuole teleobiettivi sotto il naso. Mi dicono “
solo le prime due canzoni” (ok, fin qui tutto nella norma) … “
dal mixer”. Seeeeeeeeeeeeee, certo! Sarà fatto. Mi chiamate a 24 ore dal concerto, non ho l’attrezzatura adatta per le foto da 2 metri e volete che mi metta a scattare dal mixer? Mi conviene rimanere al posto assegnato, nei pressi dello stage, comodo nella mia fantastica poltronissima (voglio conoscere il genio del male che ha coniato il termine adatto per quei “boccaloni” che spendono cento e rotti euro per starsene seduti tutto il tempo su qualcosa che credono somigli ad un trono)! Ad ogni modo … missione compiuta. Più o meno.
“
Sono molto felice di essere qui con voi questa sera a Molfetto, in Puglia”. A parte la storpiatura adoperata al nome della cittadina del nord barese,
Sting si rivolge alla platea in un buon italiano. Sfodera più volte il suo vocabolario con tono affabulatorio, alla stregua delle sue canzoni, morbide partiture pop dalle note cristallizzate un momento prima di farsi jazz, una spanna al di qua del reggae, due passi prima del rock. Un‘indeterminatezza voluta, che ha fatto la fortuna del cantante inglese e gli ha donato un posto nell’olimpo del mainstream musicale.
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LSDmagazine
Photography ©Francesco Santoro all rights reserved
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