martedì 12 gennaio 2010

Grant Lee (Buffalo) Phillips

Se non fosse stato per Michael Stipe non avrei mai conosciuto i Grant Lee Buffalo.
Nel ’95 ho avuto la fortuna di assistere ad un concerto dell’ultimo tour dei (degli?) R.E.M. al completo (con Berry alla batteria). Quell’anno Stipe aveva deciso di portare con sé i Buffalo in giro per quattro continenti: a loro il difficile compito di scaldare il pubblico prima degli osannati headliner. Ma quel mini-set si rivelava, ogni sera, ben più di un riempitivo. In giro per Australia, Giappone, Europa ed U.S.A., i Buffalo raccoglievano consensi di pubblico e critica. Chi li ha visti in almeno uno dei quattro show italiani mantiene vivido il ricordo di quelle performance.

Sorta di nume tutelare, il cantante dei R.E.M. incrocia a più riprese il percorso artistico di Grant-Lee Phillips, il leader dei Buffalo. Stipe elegge Fuzzy miglior disco in circolazione nel 1993: l’affermazione alza la soglia di attenzione attorno al debut album dei californiani e le radio raddoppiano i passaggi dell’omonimo singolo. Due anni dopo arriva la grande vetrina grazie alla tournée con i R.E.M.: Grant-Lee Phillips, Paul Kimble e Joey Peters aprono ben 42 date del colossale “Monster Tour”. E’ sempre Stipe, nella veste di produttore esecutivo di Velvet Goldmine, a richiedere alla band un inedito per la colonna sonora del film (istanza accolta ed assolta con The Whole Shebang), ed è sempre lui a profondere inconfondibili armonie vocali in Everybody Needs A Little Sanctuary, brano di Jubilee (1998). Il calvo Mike coinvolge Grant-Lee perfino nel progetto di world music 1 Giant Leap (2002).

Ma le collaborazioni del prolifico Phillips sono davvero tante. La smania creativa lo induce a partecipare in diversi ambiti, tant’è che il suo nome viene accreditato in decine di progetti. Nel 1998 c’è un favore da ricambiare e così la sua chitarra e la sua voce finiscono in Electro-Shock Blues degli Eels, con i quali collabora anche per Daisies Of The Galaxy (2000). Il nuovo decennio coincide con l’inizio della collaborazione con Aimee Mann: Grant-Lee è ospite negli album Bachelor No. 2 e @#%&! Smilers. I due, poi, dividono il palco per una serie di annuali concerti, i monotematici “Christmas Show”, che propongono alle platee statunitensi traditional natalizi.

Ma la cooperazione di Phillips che più di tutte desta curiosità è quella con Robyn Hitchcock (ex The Soft Boys). Cantautore inglese attivo sin dal 1979, più volte designato quale omologo al “crazy diamond” Syd Barrett, Hitchcock ospita Grant-Lee in Jewel For Sophia del 1999 e con lui duetta spesso e volentieri lasciandone traccia tangibile nel DVD Elixir And Remedies (2002). Con il sentito omaggiato incluso nell’album Nineteeneighties (2006) il californiano dimostra una vera e propria fascinazione per le opere di Hitchcock eseguendo I Often Dream of Trains.

Grant-Lee Phillips non ha mai prodotto un best seller e non appartiene certo al “club dei vincenti”. Piuttosto rientra nella cerchia dei “capaci ma sfigati”, meglio noti come “musicisti di culto”, che si dileguano tra strette strade secondarie. Ecco perché dopo aver ascoltato il recente Little Moon ho pensato di ripercorrere la carriera artistica del genialoide Phillips, e dei suoi Buffalo, in una monografia
(Grant Lee Buffalo: la dodici corde che sfidò il grunge).
Un piccolo tributo da un piccolo scribacchino.

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