Shelley. Shelley Short. Offre alcune chiavi di lettura questo nome. Con un po’ di fantasia quel
“Sh Sh” delle iniziali potrebbe sembrare invito ad abbassare i toni, a moderare i ritmi. E poi Short, un cognome che dà l'impressione di voler spiegare i bozzetti musicali, poco più che interludi a volte, creati per Then Came The After, album infarcito da brevi e leggere melodie.
Originaria di Portland, la musicista predilige l’attività live (in passato ha aperto per Loudon Wainwright III e Tom Brosseau). Ed è proprio on the road che è nato questo disco, frutto di idee e incisioni realizzate tra una tappa e l’altra di un tour protrattosi tra il 2010 e il 2011.
Alternative, minimali, delicate, le canzoni di Shelly sono piccole avventure sonore trascinate da una voce innocente, incapace di sporcarsi di cattiveria, e da e un sound che rinnova stilemi d’annata.
Indipendente per natura (eh sì, anche per contratto), l’americana non è una di quelle che emerge per esposizione mediatica, se mai per qualità. Nei due minuti di The Dark Side si condensano timbri vintage, che rimandano al pop dei ’60, e modulazioni di quella proverbiale voce limpida che traduce o pilota emozioni. Anche Right Away conferma espressività di altri tempi che sceglie di propagandarsi in rete tramite un curioso video.
Registrato con Rachel Blumberg (Bright Eyes), Nate Query (The Decemberists) e Mike Coykendall (M. Ward), Then Came The After uscirà il prossimo 7 maggio.
Shelley, intanto, è già là fuori in giro per il mondo.
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