lunedì 24 novembre 2008

Io so qualcosa che tu non sai

Ascolto la musica dei Clash e ho l’impressione di essere esposto ad una gragnola di proiettili pronti a investirmi. The Clash “The Only Band That Matters” ovvero, Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon, Nicky “Topper” Headon. Uno, due, tre, quattro! Chitarra, batteria, basso e l’inconfondibile voce di Joe: Rock dallo scoppio rapido a rompere il silenzio, onda sonora che si propaga fino a tutto travolgere.
La mistura tra musica meticcia e testi impegnati, dà forma a un Rock’n’Roll capace di annullare ogni frontiera di genere e qualsiasi distanza tra palco e pubblico. Quattro inglesi dall’aspetto volutamente trasandato pronti ad enunciare l’imminente avvento dell’apocalisse. Gli anni ’70 volgevano al termine, era l’epoca in cui le politiche liberiste smantellavano il welfare state degenerando, fino ai giorni nostri, nell’annientamento di ogni tipo di tutela per la classe lavoratrice. Erano anni in cui aumentavano gli scioperi innanzi alle fabbriche, in cui dilagava la disoccupazione e, last but not least, intere palazzine inglesi rimanevano vuote pur di non essere riqualificate o destinate agli homeless. I Clash, denunciavano tutto, senza riserve. Contestavano queste aberrazioni perché erano parte di quello stesso pubblico che subiva, erano ragazzi angustiati per il proprio futuro, al pari dei loro fans. Questo rapporto simbiotico li poneva in cima alla concisa lista di bands che amavano condividere tutto con i propri estimatori: spartire con loro i camerini era la regola, vietare alla security di essere intransigente durante i concerti era una norma comportamentale imprescindibile, regalare ingressi a schiere di fans, anche occasionali, non era un’insolita iniziativa.
Ma la band imploderà su se stessa nel momento di massima esposizione mediatica. La corrente centripeta del 1982 sgretolerà il gruppo: sarà in gran parte imputabile alle prese di posizione di Joe Strummer, incapace di gestire un inaspettato quanto disprezzato successo planetario.

Joe era una scintilla scagliata via dalla stessa lingua di fuoco che gli aveva dato la vita.
Una scheggia infuocata pronta a generare altre fiamme, incendi ovunque.
L’unico chitarrista capace di trovare posto nel “giro che conta” nonostante fosse solo uno “strimpellatore”!
In realtà Mr. John Graham Mellor (in arte Joe Strummer) era discendente dalla stessa virtuosa progenie cui erano appartenuti Elvis, Johnny Cash, Hendrix, MC5, Stooges e ne ha a sua volta vissuto la medesima parabola.
Come loro, era animato dallo stesso spirito rivoluzionario che gli ha consentito di annientare le convenzioni, di recidere i legacci che ad intervalli regolari hanno imbrigliato il mondo del Rock.
Per Joe la musica ha sempre ricoperto un ruolo di vitale importanza. Aveva quella strana febbre, quel raro morbo che prospera solo in certi uomini, quella smania che costringe ad essere alla continua ricerca di un qualcosa che, se conquistato, risulta fuggevole.

Il vuoto lasciato dalla sua scomparsa è - lessico abusato ma autentico - incolmabile: a consolare, resta la constatazione del fatto che il viaggio è stato breve, ma impareggiabile.
Dei folk singers che frequentavano il Greenwich Village nei primi ‘60, Bob Dylan ha detto: “Tutti i grandi artisti che ho visto e a cui volevo assomigliare, avevano una cosa in comune … era nei loro occhi. Il loro sguardo diceva: io so qualcosa che tu non sai”.
Affascinanti parole quelle di Dylan, perfette per descrivere l’enigmatico sguardo di Strummer.

Recentemente ho visto il sensazionale “The Future Is Unwritten” un intenso docu(mentario)film colmo di aneddoti su Joe, sui Clash e su quella magnifica manciata di anni in cui si è manifestato, in tutta la sua essenza, il fenomeno Punk. Da fan non proprio attento, mi sono più volte chiesto dove il regista avesse ripescato quel titolo già sentito finché, dopo alcune ricerche, non ho individuato la piccola epigrafe raffigurata sul retro della copertina dell’LP “Combat Rock”.

Il disegno – ripreso anche per la front cover del singolo “Know Your Rights” – illustra una stella rossa su cui è posto un libro aperto: sulla pagina destra compare un revolver, su quella sinistra campeggia una truculenta scritta di sangue ov’è richiamato il motto “The Future Is Unwritten”.
Già, un revolver: perché dici Clash e ti senti minacciato da una pistola puntata in faccia. Il futuro non è scritto, invece, è l’ineluttabile profezia enunciata a vent’anni dal suo compimento e avvenuta quando tutto invece, pareva scritto. Il gruppo, infatti, era nuovamente pronto a salire sullo stesso palco per l’ingresso nella Rock’n’Roll Hall Of Fame, in un momento in cui vecchi dissapori venivano accantonati (anche se solo per un giorno). Milioni di fans, la band e Joe stesso, beffati dal destino.

Ma non c’è da essere tristi, con tutta l’ottima musica che i quattro inglesi sono stati capaci di diffondere e lasciare in eredità anche a chi, come me, non ha avuto modo di conoscerli da vicino.
E poi Joe aveva quello sguardo enigmatico che pareva celare quel qualcosa d’inconfessabile …


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4 commenti:

Maurizio Pratelli ha detto...

I Clash..... Comunque garzie per ciao2001, ci son cresciuto sopra.... e non sapevo di quel sito

Francesco Santoro ha detto...

Ciao Maurizio,
grazie a te per la visita ed il commento.
Alla prossima,
Francesco

concorsi musicali ha detto...

Blog is interesting and motivated me a lot!! thanks

Francesco Santoro ha detto...

Thanks, I appreciate your comment! I hope you come back soon.