Solido, con i volumi delle chitarre in bella evidenza, i cori avvolgenti e un cantato dedito alla malinconia. Sono questi gli elementi preponderanti in Damaged Goods, il nuovo album firmato The Mohawk Lodge, collettivo guidato da Ryder Havdale.
Canadese giramondo, Havdale ha registrato dieci pezzi, con altrettanti musicisti, per ricreare un sound pieno, carico di ritmi a metà tra rock e punk. Un imprinting che echeggia tra strutture compatte ma mai ruvide. L’introduzione dell’album è efficace, affidata com’è a colpi d’ariete. Howling At The Moon e Wild Dogs, due pezzi per un totale di tre minuti e diciannove, frantumano da subito ogni ipotetica forma di riluttanza con pattern springsteeniani e torsioni sonore alla maniera di Ryan Adams (quello di Rock N Roll). Giusto il tempo di entrare nel mood dei pezzi e la pressione curva in basso con Light You Up, dalle atmosfere misurate, e con Using Your Love, sing along afflitto da cori ubriachi di frustrazione quietati in un convulso cortocircuito finale.
Havdale ha scritto i brani dopo una tournée europea, scrollandosi di dosso il fardello di sensazioni che, a quanto pare, hanno contribuito ad appesantirne il ritorno a Toronto. Una zavorra di merce danneggiata (damaged goods, appunto) di cui sbarazzarsi al più presto. Per farlo il musicista si è rintanato in un rifugio campestre adatto per seppellire le angosce e rievocare astrazioni buone per essere fissate su demo. Concetti eterogenei – quali il voodoo, le notti d’estate, i lunghi viaggi e certe impressioni ad un passo dalla morte – animano canovacci poi riarrangiati con la band.
A metà del racconto, febbrili visioni personali schiudono una fessura temporale che evoca magia dal passato. E’ una parentesi sospesa, un inciso che provvede a spezzare la concatenazione tra i timbri rock degli anni ’90 e i richiami riot dei ’70. “You just keep me hanging on” è solo una perifrasi, ma vale un mondo intero: dà valore aggiunto ad un tema ormai abusato. Inclusa in Hard Love, la lirica dà l’impressione di trarre ispirazione dal Lou Reed della celeberrima Perfect Day.
In Damaged Goods, i suoni familiari non si insinuano, ma si esaltano distintamente (e non in una accezione negativa). Qualcuno dice che il rock non dovrebbe rasserenare, ma scuotere. Eppure, di tanto in tanto, è bello tenere le terga al caldo. L’impeto controllato di Voodoo e il languido fluire di 1000 Violins offrono conforto alla tesi. Gold Rivers, struttura regolare e voce sbilenca, è bella su disco ma induce ad ipotizzare scenari sfavillanti dal vivo, in quella dimensione che i Mohawk Lodge reputano fondamentale (il tour italiano farà tappa il 28 novembre a Roma, il 29 a Milano e il 30 a Sermide).
Damage Goods è un album che racchiude molti di quei tratti distintivi che hanno dato il fremito agli innamorati delle andature rock. Questo disco sembra scaturire dal desiderio di voler mantenere intatto un antico e passionale legame.