domenica 18 ottobre 2015

Joss Stone - Water For Your Soul

Svincolata dai legacci delle major, Joss Stone continua la propria ricerca musicale in piena autarchia. Water For Your Soul fotografa un ulteriore stadio di maturazione professionale che travalica generi e tendenze. Su tutto è la solita duttile voce a persuadere.

Una gestione travagliata, debitoria di viaggi ed esperienze, ma libera di spaziare senza argini. Da un percorso che scioglie nodi, personali e professionali, nasce l'intuizione per il disco. In autonomia da schemi e restrizioni di genere, Joss Stone ha pubblicato Water For Your Soul, album riconducibile al reggae eppure inclusivo di una ricchezza espressiva che travalica le catalogazioni. La Stone convalida il proprio talento con una voce versatile, densa di soul, ma capace di farsi protagonista o di rimettersi al servizio della struttura dei brani. Tra questi, una buona quota degli accenti musicali è in levare e avanza a ritmo di reggae, ma la grana blues sottende ed emerge, a tratti, abbacinante.

Damien Marley, figlio d’arte, collabora al progetto, come pure Dennis Bovell: la loro influenza è tangibile e invita, idealmente, la cerea inglese a lasciare i freddi lidi della terra natia per rigenerare spirito e canto su spiagge battute da sole e ritmi caraibici. Ma anche di world music è intriso Water For Your Soul che la Stone reputa una ricerca sulla presa di coscienza, del risveglio della consapevolezza pur nella realizzazione individuale. Una sorta di new age moderata, riveduta e corretta, che punta sull'elemento naturale di purezza per antonomasia: l'acqua – simulacro che supplisce la musica o qualsiasi altra cosa – capace di dissetare il proprio ego. E’ questo il concetto portante su cui sono strutturati i quattordici brani inclusi nel disco, introdotti dal coinvolgente Love Me scritto con Damien Marley all’epoca della comune militanza nei SuperHeavy.
Pubblicato per l’etichetta da lei fondata, la Stone'd Records, il mood eterogeneo del sound è sicuramente influenzato dalla composizione delle tracce in epoche diverse e qui riunite per dare sostanza all’idea di libertà, purezza e sazietà che l’arte può donare. L’intento dichiarato sembra raggiunto: l’album riluce in un mix di gratificazione personale, di gioiosa condivisione con fans di vecchia data e sostenitori novizi.

Water For Your Soul si lascia ascoltare – nonostante tanta opulenza includa momenti non essenziali – e rientra tra le produzioni più riuscite dell’anno (oltre alla Stone ci hanno messo mano Steve Greenwell e Jonathan Shorten).
Stuck on You e The Answer, ottimi singoli scelti per promuovere l’uscita discografica, si muovono tra territori che offrono impeccabili occasioni per lasciar librare un cantato dai risvolti solari e dai guizzi raffinati.
Water For Your Soul sembra nato per appagare l’io di una Joss Stone in continua evoluzione.

martedì 13 ottobre 2015

Warren Haynes - Ashes & Dust

Warren Haynes mette a nudo il suo lato meditativo e tralascia la sei corde elettrica. È la chitarra acustica la principale risorsa di un disco che desta meraviglia per immediatezza, nonostante la profondità di un sound composito e a tratti maestoso. 

Ci voleva una lacerazione nella routine per lasciare sanguinare il flusso emozionale più denso e profondo di Warren Haynes. Una pausa dai Gov’t Mule ha ricreato le condizioni per ispirare brani autografi nuovi e manifestarne altri sopiti nell’oscurità da decenni.
Il chitarrista americano ha lasciato emergere un aspetto di sé per gran parte inedito, svelato grazie ad Ashes & Dust, un tripudio di country, bluegrass e soul: musica che affonda le radici nel solco dell’Americana, insomma.

Continua su SENTIREASCOLTARE.


lunedì 12 ottobre 2015

Joe Bonamassa - Live at Radio City Music Hall

È disponibile dal 2 ottobre il Live at Radio City Music Hall di Joe Bonamassa.
Su uno degli stage più importanti e suggestivi d’America, il guitar man si produce in un concerto dai due volti: acustico e intimo nella prima parte, elettrico e a tratti esaltante nella seconda.

Apprezzato nell’ambiente blues, il trentottenne Joe Bonamassa ha sempre avuto un seguito di nicchia molto affezionato. Nell’arco di tre lustri ha inciso, senza contare i side-project, una dozzina di dischi autografi.
Enfant prodige, Bonamassa ha bruciato le tappe di una carriera che l’ha portato ad iscrivere il proprio nome nel gotha dei chitarristi blues più stimati.

Continua su SENTIREASCOLTARE.

mercoledì 7 ottobre 2015

A proposito di un sogno - Cristopher Philips e Louis P. Masur

A proposito di un sogno – Le più belle interviste a Bruce Springsteen raccoglie opinioni, esperienze e conversazioni "senza rete" che il cantautore statunitense ha concesso ai media nell’arco di quarant’anni. E’ disponibile da giugno per Mondadori Editore.

Non un libro biografico, non un libro agiografico, tantomeno un libro fermacarte. A proposito di un sogno è stato scritto a quattro mani da Cristopher Philips e Louis P. Masur ed è stato edito in italiano da Mondadori (con la traduzione di Dario Ferrari). Gli autori non sono improvvisatori in cerca di notorietà, in passato hanno già avuto modo di argomentare sulla carriera di Bruce Springsteen. Phillips è l’editore del seguitissimo website backstreets.com e di Backstreets, “la” fanzine cartacea che sin dal 1980 sopperisce alla mancanza di un fans club ufficiale del musicista del New Jersey. Masur, docente di Studi americani alla Rutgers University, è l'artefice di Runway Dream (2010) in cui si narra l’intricato processo evolutivo che ha portato all’incisione di Born To Run.
Due autorevoli redattori non di certo a corto di informazioni sul tema, insomma, e che, pur avendone titolo, non hanno la pretesa di vestire i panni dei cattedratici o aggiungere nulla di nuovo a quanto fin qui elargito da altri autori su Springsteen (una rapida scorsa all’elenco sulle pubblicazioni, anche solo in lingua italiana, sbalordisce per sovrabbondanza). Il rischio di ripetersi, e di tediare anche il più devoto discepolo del cantautore, è evidente, per questo il libro propone un racconto mediato dallo stesso Springsteen attraverso interviste rilasciate nell’arco temporale dell’intera carriera (High Hopes escluso).

Springsteen, almeno agli inizi del suo percorso artistico, ha sempre dimostrato una certa diffidenza nei confronti dei media, per questo ha concesso poche interviste. Leggerle porta ad individuare da dove è scoccata la scintilla che ha reso possibile il divampare di una passione travolgente che ha trasformato un esordio dagli esiti incerti in una rara missione in nome del rock’n’roll. Altre, come quelle rilasciate professionalmente a giornalisti europei, sono andate perdute e recuperate solo di recente. Ritrovare le parole di un venticinquenne provinciale e dai modi ruvidi – che però si presta a reclamizzare un vino –, intervistato dal dj Ed Sciaky per la stazione radio WMMR nel ’74, porta a ricordare chi era e da dove veniva il ragazzo che ha poi conquistato sostenitori in ogni angolo del Pianeta.
E’ facile individuare, rispettando la lettura cronologica prevista dalla pubblicazione, i cambiamenti avvenuti nell’uomo e nell’artista, così come appare semplice notare la maturità nell’approccio con gli intervistatori e il modo di relazionarsi, in generale, con i mezzi di comunicazione. Il primordiale intento di non lasciare strumentalizzare le proprie dichiarazioni, con il tempo muta in una situazione da cui trarre vantaggio. Ma a Springsteen, va comunque concesso il merito di non essersi mai arreso totalmente ai dettami dei mass media.

Nelle oltre cinquecento pagine si possono apprezzare riflessioni, aneddoti di prima mano, ricordi e quant’altro Springsteen abbia lasciato in giro per microfoni, a parte quelli del palco e delle sale di registrazione. Tra le tante, riluce di semplicità ed efficacia l'asserzione che Springsteen offre a Will Percy: “parte di quello che chiamiamo « intrattenimento» dovrebbe essere «cibo per la mente»” (DoubleTake Magazine, 1998). Non sarà la sintesi perfetta che inquadra il rocker americano, ma illustra il credo che ha permesso all'introverso ragazzo di periferia di scalare la vetta. E di rimanerci per oltre quarant’anni.
A proposito di un sogno è un libro utile per i fans, ma significativo soprattutto per chi vuole avvicinarsi allo “Springsteen pensiero”, alle sue liriche che assimilano romanticismo e crudezza, all’uomo e all’artista.

Leggi il primo capitolo.

venerdì 2 ottobre 2015

Galactic - Into The Deep

Undicesimo lavoro in carriera per i Galactic
Into The Deep rigenera il funk che ha reso celebre il suono degli statunitensi in oltre due decenni di attività. Tanti i nomi di spessore che celebrano il ritorno del combo.

I Galactic sono fondamentalmente una jam band. Esportano funk, jazz e soul da New Orleans e dopo 25 anni di carriera il loro appeal nell'ambiente musicale non è mai scemato, almeno a giudicare dalle guest appearances vantate in quest'ultimo progetto. In particolar modo due sono le collaborazioni che meritano menzione.  
Into The Deep, la title track, è uno dei momenti migliori del disco. Il brano reca il timbro identitario di una Macy Gray ispirata da un groove lento ma inesorabile. La cantante dell'Ohio condivide lo spettro sonoro con pianoforte e chitarra prima di soverchiare questi e gli altri strumenti nel refrain.
Una grandissima (anche se misurata) Mavis Staples arricchisce di fascino il soul di Does It Really Make A Difference tra una sezione fiati, un organo e una chitarra che risplendono dell'aura magica dei sixties.

Il disco porta in dote un'eccentrica gioia che si perpetua lungo tutti i brani a cominciare dal festaiolo incipit di Sugar Doosie, con fiati in primo piano e il basso leggermente indietro: qualcosa che somiglia ad una marching band della Louisiana in forma ridotta.
Il mix di generi proposto prolifera ulteriormente con il mood "shaftiano" di Higher and Higher, un soul dall'esecuzione viscerale, che può contare sul generoso apporto vocale di JJ Grey.
Coinvolgenti gli strumentali Long Live The Borgne e Today's Blues, ma più che i singoli episodi a rendere valida la proposta di Into The Deep e l'insieme di ritmi avvolgenti che rende tangibile questa ulteriore evoluzione dei Galactic nel nome del funk, un genere così maturo ma tutt'altro che invariabile.