tag:blogger.com,1999:blog-57001243991831319722024-03-13T19:45:48.122+01:007 ottobre - rock containerIl blog di Francesco SantoroFrancesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.comBlogger298125tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-39220513062507807342017-06-16T12:50:00.002+02:002017-06-17T11:00:33.932+02:00Medimex 2017<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhd3iEQqY2qhcyJgFc22dY9hVn5RqiD3IR9H6s1xjcL5fnBK-AuXXzd4_f6qNRKkVSuVoHCbKUmhWMypV0HqkJ5Gc_WJEXCmZGfiyW6vtmwHFhAo13nQWgl85c29TXYS68J5aclEnmTJfc/s1600/medimex.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="599" data-original-width="457" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhd3iEQqY2qhcyJgFc22dY9hVn5RqiD3IR9H6s1xjcL5fnBK-AuXXzd4_f6qNRKkVSuVoHCbKUmhWMypV0HqkJ5Gc_WJEXCmZGfiyW6vtmwHFhAo13nQWgl85c29TXYS68J5aclEnmTJfc/s320/medimex.jpg" width="241" /></a></div>
<i>Si è concluso il lungo week-end barese del Medimex. Nel ricco cartellone l'unico concerto italiano dell'anno di Iggy Pop – per il quarantennale di Lust for Life e The Idiot –, Tricky, gli Showdive e l'eslcusiva del live di Solange insieme a tante altre attività incentrate sulla musica. Un grande momento di aggregazione per decine di migliaia di appassionati che, pur tra mille controlli, è riuscito nell'intento di far emergere il lato più festoso degli eventi musicali.</i><br />
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Il <b>Medimex</b> di quest'anno doveva presentarsi in una veste rinnovata, una special edition per l'appunto, e tale è stata.
La sesta edizione della kermesse barese, progetto di Puglia Sounds, non ha deluso per qualità e quantità. Ospiti d'onore di primissimo piano, nuovi esponenti della musica contemporanea e i consueti panel per gli addetti ai lavori – discografici, giornalisti, fotografi, startupper, operatori del settore – hanno lasciato il segno caratterizzando un week-end dedito interamente alla manifestazione.
Il Cavallo di Troia scelto per rappresentare graficamente questa edizione lascia spazio a diverse interpretazioni. Forse la più appropriata è anche la più intuitiva: la musica quale moto artistico che si insinua nella città, che permea tra le strade, sulle spiagge, nei palazzi storici e che esplode tra i fragori di suoni e ritmi per catturare gli astanti. Il nuovo Medimex ha cambiato epicentro. Non snoda più le sue dinamiche in un luogo unico, monolitico e periferico (la Fiera del Levante), ma articola il suo capillare approccio soprattutto nel centro cittadino dove espropria benevolmente l'ex Palazzo delle Poste, lo Spazio Murat, il Castello Svevo e Piazza Prefettura. Impossibile non rimanere coinvolti dalla manifestazione. Tutti gli eventi, del resto, sono stati offerti a titolo gratuito. A pagamento se ne sono contati solo un paio, ma anche per essi valeva la pena un esborso equo pur di garantirsi l'abbraccio dell'arte musicale.<br />
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La mostra <b>David Bowie & Masayoshi Sukita: 40° anniversario Heroes</b> dà l'avvio alla rassegna, l'8 giugno, con il maestro della fotografia giapponese presente in carne e ossa per raccontare la mitica sessione fotografica che ha fermato nel tempo l'iconica espressione di <b>Bowie</b> per il suo album <b><i>Heroes</i></b>. Un binomio, quello tra il maestro della pellicola e il <i>Duca Bianco</i>, che ha formato un sodalizio lungo e fruttuoso ben raffigurato con le stampe esposte all'interno delle splendide stanze del Castello Svevo. Oltre 23 gli scatti inediti mai esposti in Italia, con <b>Iggy Pop</b> a fare da “subalterno” a Bowie in fotografie che lo ritraggono calato nei panni di un folcloristico giapponese con tanto di <i>geta</i> ai piedi. Un mostra che ha da subito riscosso successo e che resterà aperta fino al prossimo 2 luglio.<br />
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Proprio <b>Iggy Pop</b>, già coprotagonista negli scatti di Sukita, è stato artefice indiscusso di questa edizione del Medimex. Il suo concerto è stato davvero emozionante, trascinante e d'impatto. Non è un iperbole. Iggy è indubitabilmente un uomo anziano di 70 anni, è pieno di acciacchi ed evidenzia un passo claudicante, ha una pelle pachidermica e l'artrosi ha predato le sue dita. Iggy è tutto questo, ma è anche esattamente l'opposto.<br />
La sera del 10 giugno, decine di migliaia di spettatori sono accorsi da ogni parte della Penisola al concerto in esclusiva per l'Italia. Fortunati fans hanno assistito a due ore di pura intensità tra salti, piroette, capitomboli giù dal palco (fortunatamente senza conseguenze), spurghi salivari punk a profusione e rock'n'roll come gli dei del ritmo comandano. Iggy, ancora oggi, sembra dare la polvere a smunti artisti che calcano le scene e denunciano un'età anagrafica tre volte inferiore alla sua. L'<i>iguana</i> galvanizza la band – superlativa –, sobilla la moltitudine pressata in piazza Prefettura (le stime oscillano tra 50.000 e gli 80.000 presenti) e si presta ai fotografi come una diva d'altri tempi. Iggy, insomma, è uno nato per stare sul palco e anche sotto quando, a più riprese, si lascia andare ad una fisicità ostentata e quasi da subito realizzata con abbracci concessi ad un pubblico in visibilio. Quella dello statunitense è davvero una gran performance incentrata sui classici degli<b> Stooges</b> e sulla produzione solista, con tanto di bis inatteso.<br />
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Il giorno prima, venerdì 9 giugno, è <b>Tricky</b> ad esibirsi in piazza. Intenso, notturno, torbido. Sono gli aggettivi che più frequentemente si usano per descrivere le sue musiche, le sue tracce meticce, che intersecano generi senza un'apparente delineazione. E sono aggettivi che posso essere ribaditi anche per le riproduzioni nella dimensione live.<br />
L'inglese non è di certo munifico, ma è un professionista del mainstream pop e lo dimostra regalando al pubblico una performance impeccabile che coniuga il repertorio con le uscite più recenti. Il cantante di Bristol ballonzola nel buio, tra luci basse e prevalentemente blu, costringendo la vista a spegnersi nell'oscurità per concedere all'udito il primato dei sensi. Oltre a lui, sul palco, un chitarrista che picchia duro e un batterista che si divide tra tamburi e laptop. Performance speciale anche questa, che poco si abbina ai toni dimessi del set eseguito a ruota dai redivivi <b>Slowdive</b>.<br />
<b>Tricky</b> incendia, mentre gli <b>Slowdive</b> soffocano il climax con un concerto piatto e privo di ambizione. Appesantiti, statici e fuori contesto, i componenti del gruppo ripropongono uno shoegaze fuori tempo massimo, che non avvince e male si adatta a tallonare le impennate ritmiche impresse poco prima da <b>Tricky-Adrian Thaws</b>. Eppure il pubblico accorre numeroso e schiere di giovanissimi sembrano impazzire per la sola presenza della band britannica lì, tra i fumi di scena bucati dai led luminosi.<br />
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Nota a margine: i controlli. Doverosi, efficienti e praticamente a tappeto. Ma la massiccia presenza delle forze dell'ordine non ha frustrato le decine di migliaia di appassionati accorsi a Bari per godersi in pace gli spettacoli musicali. Le barriere di cemento e di metallo stridevano con il clima festoso, ma non hanno impattato più di tanto sulla generale spensieratezza che ha ammantato tutti gli eventi.<br />
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La chiusura di questa Special Edition del Medimex, domenica 11 giugno, è stata affidata a <b>Solange Knowles</b> (sì, per la cronaca, la sorella di Beyoncé) in un Petruzzelli che per una sera ha dimenticato di essere un istituzione tra i teatri italiani e si è trasformato in una succursale dell'Apollo Theater di Harlem.<br />
Tra scenografie in stile sixties, costumi a metà tra le tute di Star Trek e pigiami a buon mercato, coreografie vintage e una all-coloured band con tanto di sezione fiati, <b>Solange</b> e i suoi hanno preso per mano il pubblico. Un pubblico che si è lasciato condurre, sin dall'avvio, tra ritmi e armonie della black in una sintesi di genere tradotta dal mood dei nostri giorni.<br />
<b>Solange</b> canta – bene, e non è un dettaglio –, balla, scende dal proscenio in mezzo al pubblico generando il panico tra la security e l'entusiasmo in platea, e si avventura a salutare gli afroamericani che occupano un palco laterale. Scatenata, e allo stesso tempo “disciplinata”, rassomiglia alla sua più famosa sorella ma senza lo stesso carico di supponenza, scevra di quel manierismo tipico da star. Il suo concerto, strutturato sul successo dell'ottimo <b><i>A Seat at the Table</i></b>, convince e gratifica l'uditorio.<br />
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Il comunicato stampa redatto per la chiusura del <b>Medimex 2017</b> conferma, grazie al computo numerico, il successo della manifestazione. Oltre 120.000 le presenze tra concerti, attività professionali, incontri d'autore, djset, mostre e attività collaterali con 200 artisti coinvolti, oltre 200 operatori, 1.000.000 di contatti sui social, 130 testate accreditate e una ventata di turismo in più per il capoluogo pugliese.<br />
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Una conferma circa quanto fin qui svolto nei sei anni di Medimex, ma anche una bella affermazione per Cesare Veronico, il nuovo direttore artistico della kermesse, e il suo staff.<br />
Un riscontro positivo che, più che ad un punto di approdo, assomiglia ad un rinnovato avvio per le future edizioni.<br />
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<span style="background-color: white; color: #222222; display: inline; float: none; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 13px; font-style: normal; font-weight: normal; letter-spacing: normal; text-align: center; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; word-spacing: 0px;">All images are © Francesco Santoro</span></div>
Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-82546531742292782202016-12-10T01:41:00.000+01:002016-12-14T19:05:29.126+01:00Bruce Springsteen – Born to Run, l'autobiografia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtPFxyHyhli9EhAe4JMnWTYCwkomOwoUEKI5wi6eiJBi-Jf2kEt3BstvHzljC1Is0O-UJ7WiWgsC4sIZD64zPcYEqnAMQHwjHqdUXpV-57vibCZ5X4XcpxCBy3Q1xeXNe11iwxi4juQIo/s1600/_images_uploads_gallery_BTR.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtPFxyHyhli9EhAe4JMnWTYCwkomOwoUEKI5wi6eiJBi-Jf2kEt3BstvHzljC1Is0O-UJ7WiWgsC4sIZD64zPcYEqnAMQHwjHqdUXpV-57vibCZ5X4XcpxCBy3Q1xeXNe11iwxi4juQIo/s320/_images_uploads_gallery_BTR.JPG" width="211" /></a></div>
<i>Qualcuno ha detto che “l'uomo ha una vasta gamma di comportamenti e di possibilità che vanno dagli abissi della dissennatezza sino alle vette eccelse di una divina felicità”. Pochi sono gli uomini che hanno potuto esplorare questa varietà emozionale da un estremo all'altro. Pochissimi coloro che hanno avuto la fortuna di poterla raccontare. Uno di questi è <b>Bruce Springsteen</b>, talentuoso e fortunato cantautore americano che per i suoi 67 anni ha pubblicato l'autobiografia <b>Born to Run</b>.</i><br />
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<b>Bruce Springsteen</b> ha recentemente messo su carta la storia di uno dei suoi personaggi più riusciti, uno di quelli che popolano i suoi testi, un tipo che sembra davvero autentico. E di fatto lo è, perché Bruce racconta sé stesso senza la mediazione di uno di quei caratteristi delineati a scopo narrativo per le sue canzoni.
Springsteen provvede a traslare il titolo del suo epico album del '75, <b><i>Born to Run</i></b>, per dedicarlo alla sua autobiografia e per concedersi la facoltà di sentenziare sul suo passato e sul periodo che lo ha visto formarsi, crescere e prosperare nell'America che tutti i suoi fans hanno imparato a conoscere attraverso un percorso artistico quarantennale.<br />
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Il libro, edito da Mondadori e tradotto da Michele Piumini, ripercorre l'esistenza del cantautore del New Jersey in maniera cronologica e con dettagli personali mai pienamente svelati prima. I capitoli introduttivi scorrono all'insegna di una narrazione capace di mappare l'albero genealogico della famiglia Springsteen con una precisione che denota grande interesse per le proprie radici.<br />
Tra queste la dottrina cattolica è parte essenziale e fa da sfondo alla formazione di chi si affaccia al mondo ma malvolentieri accetta le briglie di dogmi e formalismi liturgici. Un rifiuto stemperato dal tempo fino ad un totale annullamento, anzi, fino ad un cambio di prospettiva in età avanzata, ovvero ai giorni nostri, che lascia il passo ad un ritorno religioso prorompente, in una sorta di panteismo sui generis.
Il nucleo domestico, dunque, offre suggestioni indelebili i cui frammenti sono sparpagliati nell'intero songbook springsteeniano.<br />
Il parentado è relativamente grande e i singoli componenti educano secondo ruoli indistinti, esacerbando originarie influenze italo-irlandesi, con una faziosa predominanza della tradizione italiana. Un ambito che risulta saturo di conflitti irrisolti e sentimenti negati; un perimetro entro il quale prospera un insolito (per i tempi) groviglio anarcoide che instilla, nel giovane Springsteen, un imprinting umorale alimentato da prostrazione e sbandamento, accanto ai più noti aspetti di tenacia ed esuberanza. Ed è questo un risvolto che Bruce preferisce rimarcare: la sua ordinarietà da contrapporre, una volta su tutte, alla sua eroica immagine pubblica. Una dichiarazione dalla sincerità disarmante (“<i>una storia che avevo bisogno di raccontare</i>”) palesata presumibilmente per esorcizzare un alter ego ancestrale e autodistruttivo. <b> </b><br />
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<i><b>Born to Run</b></i> accoglie pensieri così intimi che a tratti infondono, nel lettore, l'idea di raccogliere una confessione imbarazzante, proprio mentre l'autore usa espedienti per andare e tornare dal precipizio. Ed è questo l'aspetto del privato che più desta attenzione e, dopo un primo momento di sorpresa, stima.
Il divario tra la solidità che il cantautore ha sempre rappresentato sotto i riflettori, la facilità di “tenere il palco”, la voce spavalda e dai toni potenti – peraltro accompagnata ad una fisicità solida e implacabile – contrasta con una routine saturata da fragilità, incertezze, psicoterapie e continui viaggi solitari improvvisati per mitigare demoni invincibili. Contrapposizioni mai messe in piena luce prima e che qui hanno il compito di fissare la distanza tra la figura dell'entertainer di successo e la fallibilità dell'uomo che affronta il quotidiano. Springsteen, insomma, ridimensiona sé stesso e straccia (proprio come quei volantini dai toni enfatici nell'Hammersmith Odeon) quelle convinzioni sublimate dai suoi ammiratori sulla scorta di trionfi e riconoscimenti. Sin dalla prima metà del libro emerge, inattesa, l'ammissione di una depressione incipiente: un ponte dai tavolacci sconnessi che pencola sul baratro.<br />
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Per quanto attiene il percorso artistico (e commerciale, s'intende) <b>Bruce Springsteen</b> è ovviamente consapevole di aver colto una rara nonché consolidata affermazione nel mainstream rock e ne parla con toni trionfalistici, pur soffermandosi a meditare su quanto ardua sia risultata la scalata alla vetta degli dèi (“<i>Non sapevo con sicurezza che cosa volevo, ma quando lo trovavo ne riconoscevo l'odore</i>”). Sono numerosi gli aneddoti che ripercorrono le frustrazioni, i passi falsi e le sconfitte: cadute ammortizzate – tutto sommato – grazie all'ausilio di una dote naturale e di una caparbietà straordinaria (“<i>Il mio talento, il mio ego e i miei desideri erano incontenibili</i>”).<br />
Traspare disincanto misto a romanticismo nella ricostruzione dei primi album; si manifesta con tutta la sua importanza la produzione de The Ghost Of Tom Joad, spartiacque di metà carriera; mentre è ben più agrodolce l'osservazione sul recente Wrecking Ball caricato da aspettative sovrastimate, ben presto affossate dal mancato gradimento di pubblico e critica.<br />
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Tra le pagine di <b><i>Born to Run</i></b> affiora il pensiero dell'uomo che analizza la genesi di una nuova famiglia, il valore dell'amicizia, l'incongruenza della vita, l'ingiustizia sia personale che sociale, ma che è ben lungi dal rinnegare i piaceri di una vita faraonica pur debitoria di un'estrazione proletaria. Nelle oltre cinquecento pagine che compongono questa storia personale c'è soprattutto l'artista che descrive la sua ispirazione e la sua passione per la musica, l'arte che tutto gli ha concesso in cambio del sacrificio di affetti e relazioni. A tal proposito non mancano motivi per scandagliare un primo naufragio matrimoniale, con la modella e attrice Julianne Phillips, e la successiva autentica ricostruzione della fede in una nuova avventura sentimentale con Patti Scialfa, àncora tra le mura domestiche e primo – nonché unico – elemento femminile in pianta stabile nella E Street Band.<br />
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Già, la sua sgangherata cricca con strumenti al seguito! Esemplari risultano le pagine incentrate sulle dinamiche di quel fenomeno musicale che risponde al nome di E Street Band, “il” gruppo di Springsteen che in ambito rock ha calamitato popolarità e guadagni principeschi, pur tra diverse scollature e passate tensioni. Particolare non da poco riguarda il legame con il chitarrista Steve Van Zandt, certamente autentico, ma meno solido di quanto pubblicizzato in più di un'occasione. Toccante la sezione dedicata agli scomparsi Danny Federici (organista) e al partner scenico Clarence Clemons (sassofonista). Ogni elemento della band viene posto in piena luce e, finalmente, si rende formale apprezzamento a Nils Lofgren, chitarrista generoso e dotato di mirabile maestria, da sempre relegato a subalterno d'eccellenza.<br />
E dopo il flashback dai contorni opachi sulla separazione con i sodali della E Street, trova spazio l'emozionata rievocazione di un reboot della band ammantato, dopo dieci anni di lontananza, da una coltre di perplessità presto polverizzata dall'assordante attacco di Prove It All Night. Un feeling ritrovato durante una prova lì dove tutto è possibile, su di un palco, spiraglio tra il mondo reale e il mondo vagheggiato, che propizia anche una The Promised Land “<i>leggera come una piuma e profonda come il mare</i>”. Due pezzi capaci di rinsaldare il legame come se non ci fosse mai stata alcuna scissione, due perle tratte da Darkness on the Edge of Town lo stesso disco inclusivo di brani che, parole del musicista, “<i>se ancora oggi formano il nucleo dei nostri concerti forse è perché rappresentano la quintessenza del rock che volevo fare</i>”.<br />
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<a class="fancybox-nav fancybox-prev" href="https://www.blogger.com/null" title="Previous"></a><a class="fancybox-nav fancybox-next" href="https://www.blogger.com/null" title="Next"></a><span class="child">
<span class="fa-title">(Photo Credit: Danny Clinch)</span></span></div>
<span class="child"><span class="fa-title"> </span></span> <br />
Come ogni autobiografia che si rispetti, si notano anche deficit di “sceneggiatura” e scarsità di dettagli lì dove gli hard core fans, per contro, avrebbero preferito apprendere rivelazioni.<br />
Ad esempio non c'è una sola parola a carico dello spiacevole episodio del “No Nukes” quando – il 22 settembre 1979 al Madison Square Garden – durante il concerto tenuto per auspicare un futuro senza energia nucleare, Springsteen schernisce la fotografa Lynn Goldsmith, sua ex compagna.<br />
Irrisolta resta anche la motivazione alla base della decisione di dispensare tutta la E Street Band, sul finire degli anni '80, escluso il tastierista Roy Bittan.<br />
Solo abbozzato, in un passaggio così impersonale che può definirsi cronachistico, un evento che invece avrebbe potuto cambiare le recenti sorti dello Springsteen performer. Viene riportata la notizia, mai trapelata prima, di un'operazione che lo costringe a rimanere muto per più di due mesi. Una piccola grande sciagura per un cantante, archiviata in poche battute quasi ad esorcizzarne la portata (“<i>scoprii che i dischi cervicali del collo schiacciavano i nervi responsabili dei movimenti, dalla spalla in giù</i>. […]<i>L’intervento si svolge così: ti fanno l’anestesia totale, ti aprono la gola, ti spostano le corde vocali di lato, si mettono al lavoro con chiave inglese, cacciavite e titanio, ti staccano un pezzo d’osso dall’anca e ti costruiscono dei dischi nuovi”</i>).<br />
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Sovrabbondante, ma basilare per comprendere il corso degli eventi, è, invece, il profilo particolareggiato di Douglas Springsteen. Padre dalla personalità condizionata dai disturbi mentali e dall'abuso di alcol, Douglas sembra impossibilitato ad intrecciare una genuina relazione genitoriale capace di spazzare quella irrisolta condizione di incomunicabilità che lo attanaglia. E' una figura oscura e ingombrante, la sua, che lascia in eredità al figlio un'ombra fredda e abissale. Ed ecco il fulcro del libro: è tutto in questo dualismo che tanta importanza riveste nella poetica di Bruce. Nella parte terminale dell'intera narrazione è recata una delle note più commosse e illuminanti dell'intero libro: “<i>Quel mattino in cui papà venne a trovarmi a Los Angeles poco prima che diventassi padre a mia volta rimane un momento cardine del nostro rapporto. Era venuto per supplicarmi umilmente, per tracciare un bilancio nuovo a partire dagli elementi oscuri e confusi che componevano le nostre vite</i>. […] <i>Mio padre voleva che scrivessi un finale diverso per la nostra storia. È da allora che ci provo, ma storie come questa non hanno fine. La racconta il tuo sangue, per poi trasfonderla nel sangue di coloro che ami, una sorta di eredità</i>”.<br />
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(<a class="fancybox-nav fancybox-prev" href="https://www.blogger.com/null" title="Previous"></a><a class="fancybox-nav fancybox-next" href="https://www.blogger.com/null" title="Next"></a><span class="child"><span class="fa-title">Photo Credit: Frank Stefanko</span></span>)<br />
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Lo Springsteen autore dell'opera letteraria, meno efficace del suo omologo autore di liriche, non è riuscito a compendiare il proprio vissuto alla stregua di una sua proverbiale canzone. Del resto, come avrebbe potuto? Forse val la pena accreditare la tesi che vuole questo scritto punto fermo di un percorso fin qui particolarmente riuscito; il desiderio di imprimere i ricordi per buttarseli alle spalle e ricominciare, se non a correre, a “camminare nel sole” proprio come recita l'epilogo di Born to Run (il singolo).<br />
Per ammissione dello stesso Springsteen – “<i>Non vi ho detto «tutto» di me</i>” –, <b><i>Born to Run</i></b> è un'autobiografia parziale e, alla fine della lettura, restano sospese incognite che riguardano la vita pubblica e privata dell'autore. Com'è essere <b>Bruce Springsteen</b>? Fantastico? Un'inimmaginabile babele? Un po' dell'uno e un po' dell'altro? Cosa altro sarebbe successo senza lo splitting tra il Boss e la E Street Band all'apice del successo? Springsteen stesso cerca di risolvere il dilemma tra le pagine di questo memoir, ma forse è proprio l'unico incapace di esporre ipotesi e congetture.<br />
Ci sono molteplici anime che sono riuscite a strappargli un passaggio su quella Chevrolet Corvette del '60 dai cerchioni Cragar sfoggiata come un trofeo in copertina. Sono molteplici le personalità racchiuse nello stesso uomo, nello stesso artista obbligato a “<i>decidere chi far scendere dalla macchina</i>” prima di riprendere il viaggio con una stridente sgommata.<br />
Per questo, a tutti coloro che approcceranno al testo, sarà bene ricordare che <b>Bruce Springsteen</b> è uno storyteller e che come tale si è addentrato in questo esercizio introspettivo. Per dirlo alla sua maniera, “<i>c'è qualcosa di strano nel raccontarsi per iscritto. A conti fatti, non è che una storia, una storia che ho composto a partire dagli episodi della mia vita</i>”.
Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-43154260511760153962016-04-22T00:23:00.000+02:002016-04-22T00:25:01.997+02:00RNDM - Ghost Riding<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Il 2016 segna il ritorno musicale dei <b>RNDM</b>, il trio in passamontagna arancio.
Joseph Arthur, Jeff Ament e Richard Stuverud buttano nella mischia <b><i>Ghost Riding</i></b> che dal precedente Acts eredita brani mid-tempo, cori orecchiabili e progressioni ariose arricchite da pattern elettronici ed espressioni melodiche lineari.<br />
La registrazione delle tracce vede il solito Brett Eliason coinvolto nel processo d’incisione portato a termine, in parte, anche presso lo Studio Litho di Stone Gossard. Oltre Jeff Ament, quindi, altri elementi riconducono nel perimetro dei <b>Pearl Jam</b>, ma il contatto non è mai sostanziale, anzi rifugge da qualsiasi vincolo con il sound della band di Seattle.<br />
Il mood del nuovo progetto risente della rilassatezza dei <b>RNDM</b>, ovvero Random, che collocano gli undici brani in un alternative rock morbido dalle guise polimorfe. Il risultato è spontaneo, confortevole e si manifesta sin dal primo ascolto. <b><i>Stray</i></b> rispolvera e revisiona, attualizzandolo, il credo hippie, mentre <b><i>Confortable</i></b>, che a sprazzi ricorda Bowie, non rinuncia a lambire stilemi tracciati da illustri predecessori. Qui la condiscendenza è con tutta probabilità incidentale, al contrario di quanto avviene con il deliberato ritorno (dopo Walking in N.Y.) tra i grattacieli della Big Apple per <b><i>NYC Freaks</i></b>.<br />
La volontà di non allontanarsi mai da una comfort zone rassicurante è palese e il disco resta spesso ancorato a certo alternative dei ’90. Sebbene retrospettivo, accademico per alcuni versi, Ghost Riding riesce a destare interesse grazie alle peculiarità da fuoriclasse sciorinate dai componenti della band.<br />
Resta solo un quesito irrisolto: quale sarebbe stato il risultato finale se i tre avessero lasciato affiorare il loro antico ardore? Un briciolo di audacia avrebbe conferito maggiore spessore alle composizioni, ma talento e fiuto per le buone vibrazioni rendono il secondo album dei <b>RNDM</b> – questa volta pubblicato per l’illustre <i>Dine Alone Records</i> – un disco piacevole. Non incendiario, non cruciale, ma in grado di regalare un tappeto sonoro che pencola tre buone trovate e accoglienti rimandi.<br />
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Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-52748173456575629852015-11-16T13:54:00.001+01:002015-11-17T11:09:32.292+01:00Alessandro Portelli - Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRNOVPA0jzg9mkmzLh34_7JQNgpLeAYv9Okl_RoDS_6rLlMUjYRXCDo6gVK6RyRWnX-bJoVTAbhgQ6aOToDvJn1j1hj5WXrN01UaSBof6Nvby71L60oFWI-KSlHZCPoaVmjeJ-geSBg2g/s1600/cover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRNOVPA0jzg9mkmzLh34_7JQNgpLeAYv9Okl_RoDS_6rLlMUjYRXCDo6gVK6RyRWnX-bJoVTAbhgQ6aOToDvJn1j1hj5WXrN01UaSBof6Nvby71L60oFWI-KSlHZCPoaVmjeJ-geSBg2g/s400/cover.jpg" width="295" /></a></div>
<i>Il mondo del lavoro permea una grande parte del songbook di <b>Bruce Springsteen</b>. L’occupazione (o la sua mancanza) determina una serie di conseguenze che influenzano fortemente la condizione umana dei personaggi al centro della sua opera.<br />E’ questo l’humus che alimenta le redici di <b>Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni</b>. Il libro di <b>Alessandro Portelli</b>, pubblicato da Donzelli Editore, rende vivido l’aspetto proletario delle canzoni di Springsteen, lo inquadra in un contesto letterario, storico e lo interconnette all’attualità e alla discografia di altri cantori del lavoro. </i> <br />
<br />
<b>Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni </b>di <b><i>Alessandro Portelli </i></b>– docente di Letteratura angloamericana all’Università “La Sapienza” di Roma – indaga la produzione narrativa che il cantautore del New Jersey incentra sul lavoro, tòpos dell’esperienza artistica di Springsteen: il lavoro che avvia il processo di crescita personale, il lavoro quale propulsore del riscatto sociale. <br />
Come indica il titolo del libro, è Badlands, brano foriero dell’urgenza di affrancare la propria vita dal disprezzo, il leitmotiv che cuce i capitoli uno per uno. Le sue liriche rivelano un protagonista furioso e disilluso, eppure razionale e incline tanto all’autodeterminazione quanto alla denuncia sociale. Sono dinamiche che animano tutto <b><a href="http://7ottobre.blogspot.it/2010/11/darkness-on-edge-of-town-rabbia.html" target="_blank">Darkness On The Edge Of A Town</a></b>, l’album dischiuso proprio dalle note di Badlands. <br />
<br />
Il libro di <b><i>Alessandro Portelli</i></b> ha il grande valore di rigenerare il significato di brani “inariditi” dall’ascolto, di parole che, a furia di essere mandate a memoria, hanno ormai raggiunto la sazietà semantica. Portelli esprime un punto di vista soggettivo sull’opera di Springsteen ma scandito dall’oggettività del letterato – nonostante il palese coinvolgimento emotivo e una personale aneddotica. Springsteen e l’America: ovvero come Springsteen interpreta la “terra delle possibilità” riflettendo sulla tanto enfatizzata mobilità del lavoro che dovrebbe promuovere il riscatto sociale ma che, più spesso, degrada in ricatto sociale. L’indagine di Portelli ripercorre quel coacervo di umiliazioni che caratterizzano le dinamiche comportamentali dei protagonisti delle canzoni di Springsteen. Fatiche, benefici, privazioni, successi, iniquità che risollevano o demoliscono la vita di un nugolo di personaggi. <br />
“<i>Un lavoro che non ti ispira è come una condanna</i>” scrive Portelli, sostenendo un epifonema pronunciato da Springsteen “<i>in uno dei suoi rari interventi politici in pubblico</i>”. Il musicista auspica un’America in cui tutti possano ottenere “un lavoro che ti soddisfa, che dà senso e motivazione alla vita”, ma l’utopia di un’ascensione occupazionale è quasi sempre frustrata nelle sue canzoni. Forse solo in Darkness on the Edge of Town, la title track del disco pubblicato nel ’78, Portelli ravvisa gli estremi per delineare “<i>l’unica storia di mobilità verso l’alto in tutto il canone di Springsteen</i>” (Now I hear she's got a house up in Fairview, and a style she's trying to maintain […] Some folks are born into a good life, other folks get it anyway anyhow. I lost my money and I lost my wife) ma con l’inevitabile risvolto negativo, un contrappeso quasi sempre presente “<i>quando si parla di gente coi soldi</i>” invischiata in vicende dai risvolti opachi. <br />
<br />
Anche <b>Born In The U.S.A.</b>, il brano più popolare di Springsteen, “<i>condensa tre temi di fondo: l’orgoglio patriottico, l’esperienza della guerra, la condizione operaia</i>”. L’orgoglio patriottico, abbinato all’ostentazione di un’estetica da scaricatore di porto postmoderno, è quello che ha alimentato un persistente bias cognitivo mistificatorio: Springsteen nazionalista tout court. Eppure, scrive Portelli, è ben chiara la posizione del reduce dal Vietnam (l’io narrante born in the U.S.A.) “<i>offeso in quanto americano, perché l’America ha fatto ai suoi cittadini una promessa e non l’ha mantenuta, ha fatto balenare un sogno che continua a rinviare</i>”.<br />
<i><b><br /></b></i>Continua su <b><a href="http://sentireascoltare.com/recensioni/alessandro-portelli-badlands-springsteen-e-lamerica-il-lavoro-e-i-sogni/" target="_blank">SENTIREASCOLTARE</a></b>.
Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-10445309025118969892015-11-04T22:11:00.000+01:002015-11-04T22:11:00.588+01:00Medimex 2015<i>Si è svolta a Bari, dal 29 al 31 ottobre, la quinta edizione del Medimex.
Il salone dell’innovazione musicale ha incrementato il suo seguito e ha portato in Puglia artisti desiderosi di farsi strada e musicisti già nel “giro che conta”. Fiore all’occhiello della manifestazione l’installazione «Light Paintings» (aperta fino al 14 novembre presso il Teatro Margherita) di Brian Eno.</i><br />
<br />
Per ospitare il <b>Medimex</b> la Fiera del Levante si è trasformata per la quinta volta in una cittadella della musica, crocevia di artisti indie e mainstream, capace di attirare un numero vastissimo di spettatori, operatori del settore e artisti. Il bilancio finale computa 50.000 presenze e conferma l’utilità dell’investimento sulla cultura musicale.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifz5jqTPijgZVd2zXqfrXGOIiiB7uz5oV83vdCA31KhF_Sqp6hofP9tqVzOQC3wu3GDV_cqmWgI1pO8Q8P94F4C7KsFMGOPrs6mKrIGKQ2xxjdYiOMLJGuVTSakVX1ZHx5LtnhDivCHSk/s1600/b+eno.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="205" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifz5jqTPijgZVd2zXqfrXGOIiiB7uz5oV83vdCA31KhF_Sqp6hofP9tqVzOQC3wu3GDV_cqmWgI1pO8Q8P94F4C7KsFMGOPrs6mKrIGKQ2xxjdYiOMLJGuVTSakVX1ZHx5LtnhDivCHSk/s320/b+eno.jpg" width="320" /></a>Gli invitati a condividersi la scena erano tanti: l’impresa vera era seguirli tutti.
In cima alla lista delle priorità c’era il panel con <b>Brian Eno</b>, artefice di una trattazione tanto sincera (“<i>ho promesso a me stesso che non avrei mai avuto un lavoro</i>") quanto autoironica (“<i>dirò cose che non importano ad alcuno</i>”) che ha solo lambito i trascorsi di musicista e produttore per dettagliare il suo percorso di visual artist e cercare di spiegare genesi e finalità di <b><i>Light Paintings</i></b>, una serie di opere da lui concepite e “dipinte con la luce”.<br />
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Appuntamenti interessanti anche quelli con <b>Lo Stato Sociale</b>, gruppo di ragazzi che hanno le idee ben chiare e che vantano una coerenza che sembra fuoriuscire d’altri tempi; con i <b>Deproducers</b> che hanno presentato la loro idea di “<i>musica per conferenze spaziali</i>”; con il sempre lucido <b>Erri De Luca </b>che annovera un recente sodalizio artistico con Nicky Nicolai e Stefano Di Battista.<br />
Tra i più celebrati <b>Ludovico Einaudi</b> – impressionante il seguito del compositore tra i giovanissimi – <b>Carmen Consoli</b> che racconta come “<i>è tutto in costruzione</i>” dopo aver data alla luce un figlio e <b>David Lang</b> – premio Pulizer per la musica e compositore USA dell’anno nel 2013 – autore della colonna sonora del film <i>Youth </i>(Paolo Sorrentino).<br />
Seguitissimo anche l’incontro d’autore con <b>Vinicio Capossela</b>, autore del libro <i>Il paese dei copoloni</i> da cui è stato tratto l’omonimo lungometraggio presentato in anteprima in versione non definitiva.<br />
<br />
Nutrita anche la sezione live, con una predominanza femminile. <b>Hindi Zara</b> ha ottenuto consensi per una performance molto intensa, <b>Natalie Imbruglia</b> ha fatto leva sulla nostalgia dei fans e <b>Carmen Consoli</b> ha raccolto il maggior numero di spettatori.<br />
Gli organizzatori del <b>Medimex</b> confermano una formula ormai
rodata, e decisamente vincente, scevra di novità formali. Fiduciosi,
aspettiamo di sapere se ci sarà un seguito nel 2016.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNlI-PRyDtEAIV4YnuNtTGp1GpYtfvXdYAmEaHtmeaGCTFGyeXcdfItASvJgbHtwN7AzxHUyBpnRjl1NptpQXGk_Vy2lc8qjPMS62rc9XOwymqt9MKhq1cyQzarGX1d-Uw9nDiHYkesiY/s1600/DSC_0181+%25282%2529.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieydnwj-Ezwu7QJKIXYSq8VPmLpSamdp6mZh67QQByEONqWOPH6LJfLNrHhJor1_7gkoql_yap1aio9CgX5-AQbcwmxWzDP6Ti1qE-tpzrVMySHy38WQH7Al6UJ-_ZACGukwdpNebfU4A/s1600/DSC_0267.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEytytNOjG9ySNCRhakpJZGCQZz_P3aGvSPsfeyz50lgxzJVBrCt2FpCIgx4GQe2MNaNksbZI0K1EHSfnj3CT_Zgw1CQ9aggGMQhFQkXvJrqz2mSAyQjcYluwQgWT7kBeJ3xiIli8ZLf8/s1600/DSC_0241.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"></a></div>
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Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-35849696643128674372015-10-18T13:24:00.000+02:002015-10-18T21:55:40.010+02:00Joss Stone - Water For Your Soul<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKKPZEe8NZ2QwLF9SPuFujpCjCy5MXEBTTj38Dg9dQfBuFVYrnhzJKyBqW6wtaIFpthZidivLqBGpxuAaW8MtVp904Ui4PMG3U-ZUkFDM3YjPFDAD3jV4XqybXTkuBKCpUGoNqDbrVJvI/s1600/Cover_1500x1500.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKKPZEe8NZ2QwLF9SPuFujpCjCy5MXEBTTj38Dg9dQfBuFVYrnhzJKyBqW6wtaIFpthZidivLqBGpxuAaW8MtVp904Ui4PMG3U-ZUkFDM3YjPFDAD3jV4XqybXTkuBKCpUGoNqDbrVJvI/s320/Cover_1500x1500.jpg" width="320" /></a></div>
<i>Svincolata dai legacci delle major,<b> Joss Stone</b> continua la propria ricerca musicale in piena autarchia. Water For Your Soul fotografa un ulteriore stadio di maturazione professionale che travalica generi e tendenze. Su tutto è la solita duttile voce a persuadere.</i><br />
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Una gestione travagliata, debitoria di viaggi ed esperienze, ma libera di spaziare senza argini.
Da un percorso che scioglie nodi, personali e professionali, nasce l'intuizione per il disco. In autonomia da schemi e restrizioni di genere, <b>Joss Stone</b> ha pubblicato <b><i>Water For Your Soul</i></b>, album riconducibile al reggae eppure inclusivo di una ricchezza espressiva che travalica le catalogazioni.
La Stone convalida il proprio talento con una voce versatile, densa di soul, ma capace di farsi protagonista o di rimettersi al servizio della struttura dei brani. Tra questi, una buona quota degli accenti musicali è in levare e avanza a ritmo di reggae, ma la grana blues sottende ed emerge, a tratti, abbacinante.<br />
<br />
<i>Damien Marley</i>, figlio d’arte, collabora al progetto, come pure <i>Dennis Bovell</i>: la loro influenza è tangibile e invita, idealmente, la cerea inglese a lasciare i freddi lidi della terra natia per rigenerare spirito e canto su spiagge battute da sole e ritmi caraibici. Ma anche di world music è intriso Water For Your Soul che la Stone reputa una ricerca sulla presa di coscienza, del risveglio della consapevolezza pur nella realizzazione individuale. Una sorta di new age moderata, riveduta e corretta, che punta sull'elemento naturale di purezza per antonomasia: l'acqua – simulacro che supplisce la musica o qualsiasi altra cosa – capace di dissetare il proprio ego. E’ questo il concetto portante su cui sono strutturati i quattordici brani inclusi nel disco, introdotti dal coinvolgente <i>Love Me</i> scritto con Damien Marley all’epoca della comune militanza nei <b>SuperHeavy</b>.<br />
Pubblicato per l’etichetta da lei fondata, la Stone'd Records, il mood eterogeneo del sound è sicuramente influenzato dalla composizione delle tracce in epoche diverse e qui riunite per dare sostanza all’idea di libertà, purezza e sazietà che l’arte può donare. L’intento dichiarato sembra raggiunto: l’album riluce in un mix di gratificazione personale, di gioiosa condivisione con fans di vecchia data e sostenitori novizi.<br />
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<i><b>Water For Your Soul </b></i>si lascia ascoltare – nonostante tanta opulenza includa momenti non essenziali – e rientra tra le produzioni più riuscite dell’anno (oltre alla Stone ci hanno messo mano <i>Steve Greenwell</i> e <i>Jonathan Shorten</i>).<br />
<i>Stuck on You </i>e <i>The Answer</i>, ottimi singoli scelti per promuovere l’uscita discografica, si muovono tra territori che offrono impeccabili occasioni per lasciar librare un cantato dai risvolti solari e dai guizzi raffinati.<br />
<i><b>Water For Your Soul</b></i> sembra nato per appagare l’io di una <b>Joss Stone</b> in continua evoluzione.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/if58j9EgWV4" width="560"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-63119604606091535752015-10-13T17:04:00.001+02:002015-10-13T17:04:35.018+02:00Warren Haynes - Ashes & Dust<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1aldCyEAjjilPM77lXnMO3AEDHIE3ynkDHkG0qsOVwgXsT_qe5CMYJ_dxL1itL2Ak_-VFY61YHcvA8cTLaBsC3iKAdwoWZtat_8yVePUu5AZuLka_m1mM70vNbI-DOHUR1BbGMO7LQ8E/s1600/wh_ashes_and_dust_cvr_5x52.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1aldCyEAjjilPM77lXnMO3AEDHIE3ynkDHkG0qsOVwgXsT_qe5CMYJ_dxL1itL2Ak_-VFY61YHcvA8cTLaBsC3iKAdwoWZtat_8yVePUu5AZuLka_m1mM70vNbI-DOHUR1BbGMO7LQ8E/s200/wh_ashes_and_dust_cvr_5x52.jpg" width="200" /></a></div>
<i><b>Warren Haynes </b>mette a nudo il suo lato meditativo e tralascia la sei corde elettrica. È la chitarra acustica la principale risorsa di un disco che desta meraviglia per immediatezza, nonostante la profondità di un sound composito e a tratti maestoso. </i><br />
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Ci voleva una lacerazione nella routine per lasciare sanguinare il flusso emozionale più denso e profondo di <b>Warren Haynes</b>. Una pausa dai Gov’t Mule ha ricreato le condizioni per ispirare brani autografi nuovi e manifestarne altri sopiti nell’oscurità da decenni.<br />
Il chitarrista americano ha lasciato emergere un aspetto di sé per gran parte inedito, svelato grazie ad <b><i>Ashes & Dust</i></b>, un tripudio di country, bluegrass e soul: musica che affonda le radici nel solco dell’Americana, insomma.<br />
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Continua su <b><a href="http://sentireascoltare.com/recensioni/warren-haynes-ashes-dust/" target="_blank">SENTIREASCOLTARE</a></b>.<br />
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<iframe frameborder="no" height="100" scrolling="no" src="https://w.soundcloud.com/player/?url=https%3A//api.soundcloud.com/tracks/195391749&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false&visual=true" width="100%"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-5670858734179904202015-10-12T19:22:00.000+02:002015-10-12T22:51:34.404+02:00 Joe Bonamassa - Live at Radio City Music Hall <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh4I0d03QK568qyN5O8lMQO4WtesLMc-i3BxhL11GF6COuaVangH059s559uO6q-KhsWyx2eCdRiJQv11ecY8cidpVpbeO1auJ301EBn2feauZTZE_6ro0i3e6WtRNQkeTBC6xQ_Dq-4I/s1600/261106.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh4I0d03QK568qyN5O8lMQO4WtesLMc-i3BxhL11GF6COuaVangH059s559uO6q-KhsWyx2eCdRiJQv11ecY8cidpVpbeO1auJ301EBn2feauZTZE_6ro0i3e6WtRNQkeTBC6xQ_Dq-4I/s200/261106.jpg" width="200" /></a></div>
<i>È disponibile dal 2 ottobre il <b>Live at Radio City Music Hall </b>di <b>Joe Bonamassa</b>.</i><br />
<i>Su uno degli stage più importanti e suggestivi d’America, il guitar man si produce in un concerto dai due volti: acustico e intimo nella prima parte, elettrico e a tratti esaltante nella seconda.</i><br />
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Apprezzato nell’ambiente blues, il trentottenne <b>Joe Bonamassa</b> ha sempre avuto un seguito di nicchia molto affezionato. Nell’arco di tre lustri ha inciso, senza contare i side-project, una dozzina di dischi autografi.<br />
Enfant prodige, Bonamassa ha bruciato le tappe di una carriera che l’ha portato ad iscrivere il proprio nome nel gotha dei chitarristi blues più stimati.
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Continua su<b> <a href="http://sentireascoltare.com/recensioni/joe-bonamassa-live-at-radio-city-music-hall/" target="_blank">SENTIREASCOLTARE</a></b>.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/9s8XVHsl-98" width="560"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-53079140653745951082015-10-07T16:42:00.000+02:002015-10-07T22:23:30.478+02:00A proposito di un sogno - Cristopher Philips e Louis P. Masur<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirPoWoWK6w6vg80ktkG6lRSUYqhZ_OKZ8VGPV-YrLpR7lJ5P9qfxJPGsa7y_j9unEwnXaBW9wbiv5j37c5ECv2aFqHagSZC0q_1wsr8cfC2RI08-79pwU0FFVYOXHaC0NMTQIugGQoV4Q/s1600/2065873cover_800_800X50.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirPoWoWK6w6vg80ktkG6lRSUYqhZ_OKZ8VGPV-YrLpR7lJ5P9qfxJPGsa7y_j9unEwnXaBW9wbiv5j37c5ECv2aFqHagSZC0q_1wsr8cfC2RI08-79pwU0FFVYOXHaC0NMTQIugGQoV4Q/s320/2065873cover_800_800X50.jpg" width="228" /></a></div>
<i><b>A proposito di un sogno – Le più belle interviste a Bruce Springsteen </b>raccoglie opinioni, esperienze e conversazioni "senza rete" che il cantautore statunitense ha concesso ai media nell’arco di quarant’anni. E’ disponibile da giugno per Mondadori Editore.</i><br />
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Non un libro biografico, non un libro agiografico, tantomeno un libro fermacarte.
<i><b>A proposito di un sogno</b></i> è stato scritto a quattro mani da <i>Cristopher Philips</i> e <i>Louis P. Masur</i> ed è stato edito in italiano da Mondadori (con la traduzione di Dario Ferrari).
Gli autori non sono improvvisatori in cerca di notorietà, in passato hanno già avuto modo di argomentare sulla carriera di<b> Bruce Springsteen</b>.
Phillips è l’editore del seguitissimo website backstreets.com e di Backstreets, “la” fanzine cartacea che sin dal 1980 sopperisce alla mancanza di un fans club ufficiale del musicista del New Jersey. Masur, docente di Studi americani alla Rutgers University, è l'artefice di Runway Dream (2010) in cui si narra l’intricato processo evolutivo che ha portato all’incisione di Born To Run.<br />
Due autorevoli redattori non di certo a corto di informazioni sul tema, insomma, e che, pur avendone titolo, non hanno la pretesa di vestire i panni dei cattedratici o aggiungere nulla di nuovo a quanto fin qui elargito da altri autori su Springsteen (una rapida scorsa all’elenco sulle pubblicazioni, anche solo in lingua italiana, sbalordisce per sovrabbondanza). Il rischio di ripetersi, e di tediare anche il più devoto discepolo del cantautore, è evidente, per questo il libro propone un racconto mediato dallo stesso Springsteen attraverso interviste rilasciate nell’arco temporale dell’intera carriera (High Hopes escluso).<br />
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Springsteen, almeno agli inizi del suo percorso artistico, ha sempre dimostrato una certa diffidenza nei confronti dei media, per questo ha concesso poche interviste. Leggerle porta ad individuare da dove è scoccata la scintilla che ha reso possibile il divampare di una passione travolgente che ha trasformato un esordio dagli esiti incerti in una rara missione in nome del rock’n’roll. Altre, come quelle rilasciate professionalmente a giornalisti europei, sono andate perdute e recuperate solo di recente. Ritrovare le parole di un venticinquenne provinciale e dai modi ruvidi – che però si presta a reclamizzare un vino –, intervistato dal dj Ed Sciaky per la stazione radio WMMR nel ’74, porta a ricordare chi era e da dove veniva il ragazzo che ha poi conquistato sostenitori in ogni angolo del Pianeta.<br />
E’ facile individuare, rispettando la lettura cronologica prevista dalla pubblicazione, i cambiamenti avvenuti nell’uomo e nell’artista, così come appare semplice notare la maturità nell’approccio con gli intervistatori e il modo di relazionarsi, in generale, con i mezzi di comunicazione. Il primordiale intento di non lasciare strumentalizzare le proprie dichiarazioni, con il tempo muta in una situazione da cui trarre vantaggio. Ma a Springsteen, va comunque concesso il merito di non essersi mai arreso totalmente ai dettami dei mass media.<br />
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Nelle oltre cinquecento pagine si possono apprezzare riflessioni, aneddoti di prima mano, ricordi e quant’altro Springsteen abbia lasciato in giro per microfoni, a parte quelli del palco e delle sale di registrazione.
Tra le tante, riluce di semplicità ed efficacia l'asserzione che Springsteen offre a Will Percy: “<i>parte di quello che chiamiamo « intrattenimento» dovrebbe essere «cibo per la mente»</i>” (DoubleTake Magazine, 1998). Non sarà la sintesi perfetta che inquadra il rocker americano, ma illustra il credo che ha permesso all'introverso ragazzo di periferia di scalare la vetta. E di rimanerci per oltre quarant’anni.<br />
<b>A proposito di un sogno</b> è un libro utile per i fans, ma significativo soprattutto per chi vuole avvicinarsi allo “Springsteen pensiero”, alle sue liriche che assimilano romanticismo e crudezza, all’uomo e all’artista.<br />
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Leggi il <a href="http://leggere.librimondadori.it/louis-p-masur-a-proposito-di-un-sogno/" target="_blank">primo capitolo</a>.Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-20236420290046997872015-10-02T12:14:00.001+02:002015-10-02T12:14:40.568+02:00Galactic - Into The Deep<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGgv0HvBLRVya9Ws6zKnE_6rtZWQUcnfCn1GCv5hNCw3QklQeVfRHdtYBp1lyCr9clvh13slH-PlyI-ftdde8AzuYU8ewJ9SDSt6H1qk5BeOsRtD9DjQYHK4N4vKj8ADqcAlVWtp755Ys/s1600/G_itd.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="179" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGgv0HvBLRVya9Ws6zKnE_6rtZWQUcnfCn1GCv5hNCw3QklQeVfRHdtYBp1lyCr9clvh13slH-PlyI-ftdde8AzuYU8ewJ9SDSt6H1qk5BeOsRtD9DjQYHK4N4vKj8ADqcAlVWtp755Ys/s200/G_itd.jpg" width="200" /></a></div>
<i>Undicesimo lavoro in carriera per i <b>Galactic</b>. </i><br />
<i>Into The Deep rigenera il funk che ha reso celebre il suono degli statunitensi in oltre due decenni di attività. Tanti i nomi di spessore che celebrano il ritorno del combo.</i><br />
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I <b>Galactic</b> sono fondamentalmente una jam band. Esportano funk, jazz e soul da New Orleans e dopo 25 anni di carriera il loro appeal nell'ambiente musicale non è mai scemato, almeno a giudicare dalle guest appearances vantate in quest'ultimo progetto.
In particolar modo due sono le collaborazioni che meritano menzione. <b><i> </i></b><br />
<b><i>Into The Deep</i></b>, la title track, è uno dei momenti migliori del disco. Il brano reca il timbro identitario di una <i>Macy Gray</i> ispirata da un groove lento ma inesorabile. La cantante dell'Ohio condivide lo spettro sonoro con pianoforte e chitarra prima di soverchiare questi e gli altri strumenti nel refrain.<br />
Una grandissima (anche se misurata) <i>Mavis Staples</i> arricchisce di fascino il soul di <i><b>Does It Really Make A Difference</b></i> tra una sezione fiati, un organo e una chitarra che risplendono dell'aura magica dei sixties.<br />
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Il disco porta in dote un'eccentrica gioia che si perpetua lungo tutti i brani a cominciare dal festaiolo incipit di <b><i>Sugar Doosie</i></b>, con fiati in primo piano e il basso leggermente indietro: qualcosa che somiglia ad una marching band della Louisiana in forma ridotta.<br />
Il mix di generi proposto prolifera ulteriormente con il mood "shaftiano" di <b><i>Higher and Higher</i></b>, un soul dall'esecuzione viscerale, che può contare sul generoso apporto vocale di <i>JJ Grey</i>.<br />
Coinvolgenti gli strumentali <b>Long Live The Borgne</b> e <b>Today's Blues</b>, ma più che i singoli episodi a rendere valida la proposta di Into The Deep e l'insieme di ritmi avvolgenti che rende tangibile questa ulteriore evoluzione dei Galactic nel nome del funk, un genere così maturo ma tutt'altro che invariabile.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/FskkPeU4AMA" width="560"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-14423474915150232892015-09-17T12:37:00.002+02:002015-09-17T14:02:17.797+02:00Gary Clark Jr. - The Story of Sonny Boy Slim<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjhU2WZKhDXjf3fZuyJvcYQ2S913eC520qYTnKwLLkAosuH0ml6-df1XIavQiSA2HYTxfiJl-yyQ5zdoBkBsrz1wp3Yx81m06Y3sACzfawNSE-hEE5MSVB6yEY5E13RoAW9uV3c_unoG4/s1600/GCJ_SBS_Cover_Final_0.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjhU2WZKhDXjf3fZuyJvcYQ2S913eC520qYTnKwLLkAosuH0ml6-df1XIavQiSA2HYTxfiJl-yyQ5zdoBkBsrz1wp3Yx81m06Y3sACzfawNSE-hEE5MSVB6yEY5E13RoAW9uV3c_unoG4/s320/GCJ_SBS_Cover_Final_0.jpg" width="320" /></a></div>
<i>Musicista autodidatta, virtuoso della chitarra, cantautore, afroamericano del Texas.
Sono le tessere del mosaico che raffigura <b>Gary Clark Jr</b>.
</i><br />
<i>Osannato dal gotha del circuito mainstream, il musicista cerca di allargare la propria audience con <b>The Story of Sonny Boy Slim</b>, album blues che favorisce continui cambi di genere in un tripudio di ottima black music.</i><br />
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“<i>Mia madre mi chiamava Sonny Boy di tanto in tanto, e anche i miei artisti preferiti – Sonny Boy Williamson, e tutti quei ragazzi del blues – si chiamavano così</i>”. E ancora “<i>Greg Izor (un grande armonicista) mi chiamava sempre Slim</i>”. Nasce da un arzigogolo di moniker il titolo del nuovo album di <b>Gary Clark Jr</b>.<br />
<i><b>The Story of Sonny Boy Slim</b></i>: solo a pronunciarlo sembra evocativo e spontaneo. Si presenta come una risacca del passato che, in parte, ne restituisce la mitologia. Il suo autore è l’ultimo profeta di una lunga stirpe intento a (ri)leggere i comandamenti del blues senza badare troppo a mutamenti radicali. E’ fisiologico che prenda a prestito, che alluda, che provi a muoversi – quasi ad ogni passo – nelle orme impresse da strabilianti antesignani. Un’aspirazione, quella di misurarsi con i grandi, che per certi versi denota stima, per altri sottopone il progetto di Clark allo “stress test” delle analogie.<br />
<i><b>The Story of Sonny Boy Slim</b></i> assume i contorni del lavoro biografico nell’intestazione e nel messaggio. Dopo una generica auto-presentazione affidata a <a href="https://it-it.facebook.com/setteottobre.rockcontainer/posts/441369889319543" target="_blank">Blak and Blu</a>, debutto del 2012 per Warner Bros. Records, ora <b>Gary Clark Jr</b>. focalizza i dettagli e avoca per sé la piena autonomia, concettuale e pragmatica, nelle fasi cruciali del lavoro. Dall’ideazione alla scrittura, dall’arrangiamento alla produzione, è lui che progetta, suona, taglia, scarta e ricuce.
Blak and Blu aveva provocato alcuni giudizi contrastanti tra i critici. Il disco si insediava autorevolmente nel solco della tradizione blues con significativi apporti soul e rhythm and blues. Ma a pesare sui commenti di certi puristi erano quei rimandi black <i>à la page</i> capaci di far travisare l’intera registrazione e di bollare Clark mero prigioniero nella morsa di un sound ruffiano. Un vero e proprio paradosso per un giovane bluesman che cercava di attualizzare il repertorio del genere raccogliendo giudizi esasperati: o lodi sperticate (per qualità di proposta, abilità tecnica e freschezza di stile) o biasimo (per eterogeneità, artificiosità, sovrapproduzione, pubblicazione tramite una major). Una situazione che non sembra aver pesato sul percorso dell’allora ventottenne, impegnato ad assecondare la propria attitudine dal vivo e in studio di registrazione.<br />
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Nell’alveo familiare delle strade di Austin, la sua città, Clark ha compendiato idee abbozzate in tour e le ha sigillate in <i><b>The Story Of Sonny Boy Slim</b></i>. L’album sfodera un’atmosfera intensa sin dalle prime battute. Partitura e liriche, pur nella loro relativa essenzialità, competono per la supremazia in un duello che si rivela molto personale. “<i>Il tema di fondo di questo album sono la fede e la speranza nella realtà</i>” conferma Clark “<i>alla fine della giornata è ciò di cui abbiamo bisogno</i>”. L’apertura affidata a <i><a href="https://soundcloud.com/garyclarkjr/the-healing" target="_blank">The Healing</a></i> conferma l’assunto. “<i>I’m a hard fighting soldier and I’m on the battlefield</i>” canta la voce fuori campo “<i>I’ll keep bringing souls to Jesus by the service that I pray</i>”. Il pezzo è introdotto dai versi di Hard Fightin’ Soldier, un traditional battista, un gospel che spiana la strada al manifesto di Clark, all’ammissione dogmatica della musica quale strumento catartico per tutte quelle aberrazioni che cingono d’assedio l’esistenza. Una canzone sospesa, di grande impatto, che assurge a metafora potente e salvifica. La solennità abbacinante del ritornello è quasi un mantra. Efficacemente posto in testa al tracklisting, il brano arretra solo grazie all’impatto di <i><a href="https://soundcloud.com/garyclarkjr/grinder" target="_blank">Grinder</a></i>, testo recalcitrante ma indefinito, tra le cui battute aleggia il fantasma di Hendrix. La sacralità introduttiva è compromessa da feedback incisivi e lick ardenti alla maniera del mancino di Seattle.<br />
Più evidente risulta il sentimento di sconforto in <i>Hold On</i>, redatto sull’onda emozionale della recente paternità. L’amarezza sfocia nella collera, nel disorientamento e nella frustrazione: lo squallore del razzismo, nonostante la presidenza di un afroamericano, deflagra con i fatti di Ferguson e Baltimora e risuscita un aspetto celato nella società statunitense di cui anche Clark è incredulo testimone.<br />
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Da Blak and Blu il nuovo <b>The Story Of Sonny Boy Slim</b> eredita uno spettro di varietà stilistiche che inclinano il mood. A spostare in ambito nettamente positivo l’“indice della felicità interna lorda” – sì, esiste per davvero – sono <i>Shake</i>, blues scaltro, veloce, senza tempo e <i>BYOB</i> (l’acronimo si riferisce al diritto di tappo?) intermezzo farsesco dall’alto tasso alcolico.
La voce di Clark si rivela vincente, è una risorsa persuasiva al pari delle sue innate doti di chitarrista. In Star il texano sfodera lo stesso falsetto che gli è valso il Grammy Award per Please Come Home (Best Traditional R&B Performance) mentre <i>Our Love</i> e <i>Cold Blooded </i>sembrano celebrare la raffinatezza timbrica di Curtis Mayfield.
<i>Church</i>, intrisa di spiritualismo – e per ciò legata a doppio filo con The Healing – è tutta voce, chitarra acustica, armonica e un tocco di percussioni. Esempio di scarna bellezza, lascia coincidere ulteriori brandelli di storia personale con quella artistica, dato l’ausilio delle due sorelle Clark, Shawn e Savannah, ai cori.<br />
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<b>Gary Clark Jr</b>. ha mosso i primi passi presso l’Antone’s – del leggendario promoter Clifford Antone – l’ombelico del mondo blues. Da adolescente, in quel locale, ha iniziato a fare proseliti ed ha trovato il prezioso aiuto di Jimmie Vaughan (fratello dell’indimenticato Stevie Ray) fino a scalare le vette del successo ed arrivare ad esibirsi durante il Crossroads Guitar Festival nel 2010. Da quel momento la carriera di Clark è stata un crescendo che lo ha portato a calcare il palco al fianco di numerose star (su tutte, gli Stones per il loro tour 50 & Counting). L’inesorabile esplosione sulla scena musicale non sembra aver disorientato il bluesman che, in proposito, ha schiettamente ammesso: “<i>Realizzo i miei spettacoli e incido i miei dischi. Cerco di non rimanere invischiato nelle campagne pubblicitarie che accompagnano il mio nome. Sono sempre lo stesso: faccio quello che facevo prima</i>”.
Oltre alle qualità fin qui mostrate, sono il legame con le radici e l’innato desiderio di incrociarle con il soul, l’hip hop e ulteriori rivoli della musica contemporanea, che forse candidano davvero <b>Gary Clark Jr</b>. a rappresentare, insieme a pochi altri esponenti (l’immarcescibile Prince, il redivivo D’Angelo, e l’ammaliatore Kendrick Lamar), il titolo di campione mondiale della scena black. Il verdetto appartiene al futuro, è certo, ma al presente spetta <b><i>The Story Of Sonny Boy Slim</i></b>.<br />
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On-line su <b><a href="http://sentireascoltare.com/recensioni/gary-clark-jr-the-story-of-sonny-boy-slim/" target="_blank">SENTIREASCOLTARE</a></b>.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/cHKTAyaWVqU" width="560"></iframe><br />
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- Fotografie di Frank Maddocks e Jon Shapley.Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-24649308694960234282015-09-11T11:41:00.002+02:002015-09-11T12:32:22.558+02:00EZTV - Calling Out<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<i>Gli EZTV debuttano con "Calling Out", album pregno di potenziali hit segnate dalle ormai famigerate pene d’amor perduto. Buona la prima, dunque, ma per plasmare musica da ricordare occorre più originalità.</i><br />
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Emozionale sul piano testuale e vintage su quello sonoro, l’esordio discografico degli<b> EZTV</b> ricuce tessuti melodici recuperati dai sixties e parsimonia ritmica dagli eighties. <i><b> </b></i><br />
<i><b>CallingOut</b></i> potrebbe sembrare gracile, e per gran parte lo è, ma scrostata la sottile vernice di immediatezza che lo ricopre, si rivela più solido di quel che appare.<br />
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Continua su
<b><a href="http://sentireascoltare.com/recensioni/eztv-calling-out/" target="_blank">SENTIREASCOLTARE</a></b>.<br />
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<iframe frameborder="no" height="166" scrolling="no" src="https://w.soundcloud.com/player/?url=https%3A//api.soundcloud.com/tracks/197508382&color=ff5500" width="100%"></iframe><br />Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-25034521468963847362015-09-01T19:43:00.001+02:002015-09-01T19:44:16.808+02:00The Lafontaines - Class<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrVHvEAzx77UMVqVOjGdhs3qof1OvxP5SIlhT37ByCKirVxJjQY5SHBENlsm43Q1zMQXYKHIAehNRyP-F8Zan_Pa6naHxcY1GzSi1gwHvjfaJRPcmp03svsbtaQeS6UT-9unrbq4e1fbc/s1600/the+lafontaines_class.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrVHvEAzx77UMVqVOjGdhs3qof1OvxP5SIlhT37ByCKirVxJjQY5SHBENlsm43Q1zMQXYKHIAehNRyP-F8Zan_Pa6naHxcY1GzSi1gwHvjfaJRPcmp03svsbtaQeS6UT-9unrbq4e1fbc/s200/the+lafontaines_class.jpg" /></a></div>
Gli scozzesi Kerr Okan (voce), Jamie Keenan (batteria), John Gerard (bass), Iain Findlay (chitarra) e Darren McCaughey (chitarra e tastiere) fondano il gruppo <b>The Lafontaines</b> nel 2010. Il giovane quintetto promuove un crossover che “ufficialmente” prende spunto dal rapping dello statunitense Notorius B.I.G. e dalle sonorità dei connazionali Biffy Clyro. Per certi versi, il duplice orientamento è attendibile: risulta evidente la fascinazione hip hop, meno quella rock. Più che altro è un godibile power pop a brillare, soprattutto durante gli spettacoli dal vivo. Il sound è certamente immediato, ma non rigorosamente radicale. Spesso ricorda episodi moderati del pluripremiato coacervo concepito dai Linkin Park.
Il primo lavoro discografico è l’EP All She Knows, del 2013, ma il vero e proprio debutto è <b><i>Class</i></b> (giugno 2015), un lavoro che calca la mano su temi personali e generazionali, e focalizza uno stile bardato con chitarre in overdrive e testi turbinosi. Quasi tutte le tracce del disco presentano suoni pieni ma non necessariamente aggressivi, che si traducono in una voluminosa massa. L’intensa attività live è imprescindibile per una band che vuole farsi una reputazione, per questo i The Lafontaines si esibiscono in numerosi piccoli club (anche negli States) prima di affrontare l’annuale edizione del “T in the Park”, il leggendario festival scozzese.<br />
Il curioso nome della band è stato scelto per onorare il grande voice actor americano Don LaFontaine, scomparso nel 2008 poco prima di mettere in atto una collaborazione con i ragazzi di Glasgow.<br />
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Continua su <b><a href="http://sentireascoltare.com/recensioni/the-lafontaines-class/" target="_blank">SENTIREASCOLTARE</a></b>.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/anF_QtRZcS0" width="560"></iframe>
Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-71345163640680593222015-08-26T19:16:00.000+02:002015-09-01T19:44:57.829+02:00Gardens & Villa - Music For Dogs<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivvTbOiw3pOhgiXamPLdK_dvLtdOSQUk9oz744UkmZNNX9uv1UY5bKi9ZNwwikVaktIqDytMdCtlo4tKgZAuBXBA6Ai6Fsydo9kFw270pMtKEevYQh6qkJ8QTvJNawsUhAL3PV42LMsy8/s1600/gardens+and+villa.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivvTbOiw3pOhgiXamPLdK_dvLtdOSQUk9oz744UkmZNNX9uv1UY5bKi9ZNwwikVaktIqDytMdCtlo4tKgZAuBXBA6Ai6Fsydo9kFw270pMtKEevYQh6qkJ8QTvJNawsUhAL3PV42LMsy8/s200/gardens+and+villa.jpg" width="199" /></a></div>
<i>Tenui melodie e cori à gogo per Music For Dogs, terzo album in carriera del gruppo californiano <b>Gardens & Villa</b>. Poche sorprese, ma una ritrovata verve lirica tiene a galla l’intero lavoro.</i><br />
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<b>Gardens & Villa</b> si riaffacciano sul mercato discografico solo un anno e mezzo dopo la pubblicazione di <b><i>Dunes</i></b>. Il gruppo capeggiato da Chris Lynch e Adam Rasmussen ha impiegato poco ad elaborare il nuovo progetto discografico <i><b>Music For Dogs</b></i>.
Complice la smania di far dimenticare il precedente lavoro – che stando
alle ultime dichiarazioni, pare sia stato imposto dalla label – i due
hanno elaborato le undici tracce in preda ad un rinnovato delirio
creativo libero da vincoli.<br />
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Continua su <b><a href="http://sentireascoltare.com/recensioni/gardens-villa-music-for-dogs/" target="_blank">SENTIREASCOLTARE</a></b>.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/fAzok_GZPx4?list=PL74437559D5436FF2" width="560"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-45653985930039340002015-06-23T13:41:00.000+02:002015-06-23T13:41:21.295+02:00Alcoholic Faith Mission - Orbitor<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnxNdY7EpZHNnSkVgAW-UDwFNGFlONf7RaFoC7V2RzbZsNBFs7Wei7bKOg5zOjVMs_R8QsqVE6HYpVqHI3JI-FO2zuTbJ4sok5wZeLapv6vpSRxnwz_iUQa-RPHQs_QQ2RkAiyFyHAceQ/s1600/Orbitor-cover600.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnxNdY7EpZHNnSkVgAW-UDwFNGFlONf7RaFoC7V2RzbZsNBFs7Wei7bKOg5zOjVMs_R8QsqVE6HYpVqHI3JI-FO2zuTbJ4sok5wZeLapv6vpSRxnwz_iUQa-RPHQs_QQ2RkAiyFyHAceQ/s200/Orbitor-cover600.jpg" width="200" /></a></div>
<b>Orbitor </b>è il nuovo album del collettivo danese <b><i>Alcoholic Faith Mission</i></b>.
Quarantacinque minuti di musica elettronica attuale ma che potrebbe essere
stata incisa decenni fa.<br />
La nostalgia assume sempre più i contorni di una moda
e gli <b><i>AFM</i></b> ne seguono l’onda pur confezionando pregevoli brani.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/80FUQ7_g1tA" width="560"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-68633507313310152872015-05-28T17:45:00.000+02:002015-05-28T18:42:07.898+02:00Mounties - Thrash Rock Legacy<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhEsvj2CnD0VdvGUSRka8zgQ1i6g5kTFmNji6NIMGBZVw705mzfqxciB2uBQbgfL8c8i9La7ao5tuYtSBEIyBdXOb5QHgyekat4aVgtteIUbj50oNFx9H7ecw2qAHyLjXyX67KD0eGgGM/s1600/mts_Thrash_Rock_CD.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhEsvj2CnD0VdvGUSRka8zgQ1i6g5kTFmNji6NIMGBZVw705mzfqxciB2uBQbgfL8c8i9La7ao5tuYtSBEIyBdXOb5QHgyekat4aVgtteIUbj50oNFx9H7ecw2qAHyLjXyX67KD0eGgGM/s200/mts_Thrash_Rock_CD.jpg" width="200" /></a></div>
Non solo USA e UK. Dure a morire, le convenzioni circoscrivono in questi confini il meglio della musica indie in circolazione.
Sarà pur vero, ma le eccezioni non mancano.<br />
I <b>Mounties</b> debuttano con <b><i>Thrash Rock Legacy</i></b> e sembrano poter dire la loro in proposito.<br />
Il trio è costituito da nomi di spicco del panorama indipendente canadese. <i>Hawksley Workman</i>, nato Ryan Corrigan, ha prodotto il duo
Tegane and Sara e la band Hey Rosetta!, <i>Ryan Dahle</i> (fratello di Kurt Dahle, ex batterista dei New Pornographers) ha contribuito alle
fortune di Age of Electric e Limblifter, mentre <i>Steve Bays</i> è il cantante degli Hot Hot Heat.<br />
Il rock energico, il suono di synth modaioli
– eppure così <span class="st">rétro</span> – e i cori orecchiabili delineano lo stile della band.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/Yw8BbzPXfNM" width="560"></iframe><br />Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-91568985757414397632015-05-27T17:21:00.002+02:002015-05-27T17:22:51.146+02:00 JPNSGRLS - Circulation <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVhyphenhyphennN0qJXWB90JUpmhWlamKnXVeDe1vvFkPbJtKgOuhmZVfM3XQnArnOUpV_l_QrorkGv2IrKRUYCLqrHKAkE0SHs_ZOgv0DFvX82BVUkQpdf4R2HYNr1RmB7pMRkVAJ3tofHGNIb65o/s1600/CirculationCOVER_iTunes.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVhyphenhyphennN0qJXWB90JUpmhWlamKnXVeDe1vvFkPbJtKgOuhmZVfM3XQnArnOUpV_l_QrorkGv2IrKRUYCLqrHKAkE0SHs_ZOgv0DFvX82BVUkQpdf4R2HYNr1RmB7pMRkVAJ3tofHGNIb65o/s200/CirculationCOVER_iTunes.jpg" width="200" /></a></div>
Le coordinate dei <b>JPNSGRLS</b> (Japanese Girls) sono nette, facilmente riscontrabili in ogni solco di <b><i>Circulation</i></b>. Tra semplicità espositiva e sonorità in quota garage pop sono posizionati i parametri del primo vero album dei canadesi.<br />
Da poco pubblicato in Europa, con un ritardo di circa sei mesi rispetto all’uscita nel Nord America, Circulation è un disco che nell’insieme evoca la forza del punk anche se ...<br />
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<iframe seamless="" src="https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/track=3913291219/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/transparent=true/" style="border: 0; height: 42px; width: 100%;"><a href="http://jpnsgrls.bandcamp.com/track/smalls">Smalls by JPNSGRLS</a></iframe> Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-66144079558399806582015-05-04T18:48:00.001+02:002015-05-04T18:48:14.947+02:00Tom Brosseau - Perfect Abandon<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2WN841Jas1KRvnidbse3lVIrKQ-iXaU4f2-649DLOJD27Xe2uX3kC_YO-tVgVOoq1KhbVU6UpHiRmEBjwOtFLlpoYOLov2U2ge8PoYaf33cfWeDKox5YjPU0WsaJ0XP79SusuESE-QDU/s1600/Tom+Brosseau_Perfect+Abandon.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2WN841Jas1KRvnidbse3lVIrKQ-iXaU4f2-649DLOJD27Xe2uX3kC_YO-tVgVOoq1KhbVU6UpHiRmEBjwOtFLlpoYOLov2U2ge8PoYaf33cfWeDKox5YjPU0WsaJ0XP79SusuESE-QDU/s200/Tom+Brosseau_Perfect+Abandon.jpg" width="200" /></a></div>
<i>Tom Brosseau pubblica Perfect Abandon, un disco di istantanee realizzato nel solco della tradizione folk a stelle e strisce. L’incisione è stata realizzata in presa diretta con la produzione di John Parish.</i><br />
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Il folk per <b>Tom Brosseau</b> è una faccenda molto seria. <i><b>Perfect Abandon</b></i>, ottavo disco in carriera per il chitarrista americano, rigenera il linguaggio crepuscolare dei cantastorie.
Con uno stile diretto e davvero poco mediato, la voce di Brosseau nobilita dieci tracce che elaborano metafore e notazioni. Sono istantanee scattate con una Polaroid nell’epoca del digitale e, proprio per questo, amplificano un messaggio autentico, spontaneo, sdegnando la manipolazione che altera e non porta da nessuna parte.
Perfect Abandon assimila un panorama di giustificazioni e afflizioni, gremito da figure in conflitto e in riappacificazione. Gli stimoli offerti dalla vita, insomma, rivivono tra consapevolezza, nichilismo, altruismo e gran parte dello spettro cromatico esibito dal quotidiano.<br />
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Il titolo del disco ricalca una caratterizzazione estrapolata tra le righe di una biografia. Il riferimento tange il modo di indossare il cappello da parte di J.L. “Joe” Frank, “uno dei più grandi promoter/manager di musica country a Nashville”, che usava poggiare il copricapo “con perfetto abbandono”. Al di là della fascinazione per la frase di un libro priva di una qualsiasi rappresentazione figurativa, e che per questo alimenta l’immaginazione, il titolo sembra il modo per delineare le caratteristiche di un album che conferma le doti del busker abile nel trascinare con ineccepibile rilassatezza. Voce bassa e confidenziale, una band che argina l’uso degli strumenti – David Butler alla batteria, Joe Carvell al contrabbasso, Ben Reynolds alla chitarra elettrica – e un unico microfono per catturare i suoni diffusi, live, sul palco del cinema Cube di Bristol, in Inghilterra. Inciso in presa diretta, il disco del menestrello biondo sembra un lavoro che fa di tutto per rasentare l’artigianato di nicchia, se non fosse per la produzione del celebre <b>John Parish</b> (PJ Harvey, Sparklehorse, Peggy Sue), occasionalmente impegnato all’organo.
<i> </i><br />
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<i>Roll Along With Me</i>, <i>My Sweetest Friend</i> e <i>Goodbye, Empire Builder </i>(con quella parte di armonica buttata lì con accurata involontarietà) fanno da ossatura a Perfect Abandon.<br />
Tom Brosseau esibisce una vocalità accomodante, cesella la pronuncia di ogni parola alla stregua di un crooner consumato e raramente lascia che la sua Gibson acustica subisca il sopravvento della Fender Stratocaster di Reynolds.<br />
Con una sei corde a tracolla e un testo da cantare molti folksinger hanno costruito onesti percorsi musicali. Tom Brosseau cerca di ritagliarsi un posticino tra chi offre lo splendore semplice ed efficace di un suono accessibile al primo ascolto: è una faccenda molto seria.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/11hpWmxEfOM" width="560"></iframe> Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-82602426931224988062015-04-22T12:01:00.002+02:002015-04-22T13:36:10.243+02:00Tic Tac Toe, nuovo video di JJ Grey<i>Tic Tac Toe</i> è il nuovo video di <b>JJ Grey</b>. Questa volta è senza i <b>Mofro</b>, nel buio, parzialmente scalfito da una luce tenue che rende la sua confessione vera.<br />
Una chitarra acustica a tracolla, una non scenografia per set, una camera fissa che lo riprende a mezza figura e <b>JJ Grey</b> è pronto a rivelare l’ineludibile.<br />
<i>Tic Tac Toe</i> si spoglia dell’elettricità che contraddistingue la versione finita sul recente <b><a href="http://7ottobre.blogspot.it/2015/02/jj-grey-mofro-olglory.html" target="_blank"><i>Ol'Glory</i></a></b> e diventa intimo spurgo della coscienza, in bilico tra pentimento e incapacità a cambiare.
Provare emozioni che fluttuano, in un attimo, dall’esaltazione alla rovina, proprio come succede durante una mano di poker. Proprio “come tenere paradiso e inferno nel palmo della tua mano”.<br />
<b>JJ</b> non vuole risultare persuasivo, canta con lo sguardo basso, il capo chino e gli occhi che non guardano mai l’obiettivo della camera, come se il pudore lo impedisse, come se stesse raccogliendo gli ultimi barlumi di una memoria tutt'altro che nobile.
<br />
Un non videoclip potente, che ci mostra un cantautore capace di ridare il giusto valore alla musica riducendo tutte le interferenze che possono inquinare espressività e impianto narrativo.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/qm1FOaqvAWU" width="560"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-65938612312981364662015-04-19T20:16:00.000+02:002015-04-22T13:44:46.965+02:00InVinoVeritas - ViaVai<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU3Tpc0mLXvJKQlEd25eDGs5DMbFu9tiCgb4KjE5rSB9rTR8Zn_BoPjshZInodaj8ug5E14SnPdojDpMP7ZVLUJd0aUu4Wm8u610cBwjLmMOfnM6VMtKSNovgjNHAbPyh4WPR2zlRwneg/s1600/viavai.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU3Tpc0mLXvJKQlEd25eDGs5DMbFu9tiCgb4KjE5rSB9rTR8Zn_BoPjshZInodaj8ug5E14SnPdojDpMP7ZVLUJd0aUu4Wm8u610cBwjLmMOfnM6VMtKSNovgjNHAbPyh4WPR2zlRwneg/s1600/viavai.jpg" height="185" width="200" /></a></div>
<i>Cinque anni dopo <a href="http://7ottobre.blogspot.it/2011/09/in-vino-veritas-demode.html" target="_blank">demoDé</a>, gli <b>InVinoVeritas</b> pubblicano ViaVai. Più asciutto e incisivo del precedente, il nuovo disco cerca – come anticipa il titolo – di mettere a fuoco il tema del movimento. Il fil rouge che lega le tracce non sempre connette gli argomenti, ma il risultato complessivo è comunque piacevole.</i><br />
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Gli <b>InVinoVeritas</b> pubblicano il terzo album in tredici anni. In sala d’incisione, a quanto pare, ci finiscono solo quando è il momento di plasmare qualcosa che li coinvolge per davvero. O quando i cambi di formazione lo consentono.<br />
Il gruppo ha scelto un nome programmatico per questa produzione: <b><i>ViaVai</i></b>.<br />
E’ un disco che aspira a raccontare migrazioni fisiche e vagabondaggi trascendentali, che mira all’inequivocabile rappresentazione “di movimento” e che cerca di meditare “sul movimento”.
La trama incarna visioni e opportunità, ambizioni e frustrazioni che accarezzano la superficie di quanto predefinito senza ghermirne il nucleo. Il filo conduttore è labile ma è magistralmente saldato in copertina dalla concretizzazione del titolo che propone – oltre all’acronimo del nome della band – quel febbrile movimento di persone che vanno e vengono.<br />
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Il viaggio allora risulta più focalizzato con la musica, che esplora, setaccia, riscopre.
Gli InVinoVeritas tratteggiano una scena ampia mai arroccata, pronta semmai a spalancarsi per il frequente ricambio di componenti, per la stravaganza concettuale, per la rilevante fusione di stili. E’ una band che rimanda un brio compositivo sincretico, disposto a sperimentare, ad osare per mezzo di insolite soluzioni. Dal pop al rock, dal punk al cantautorato: la metamorfosi sonora del collettivo si basa su accenti ritmici sostanziali e su architetture melodiche funzionali. A completare la miscela, voci diverse si alternano per urlare la rabbia o sussurrare lo sdegno. La penna rastrella tribolazioni (Briciole), riscontri intimisti (einvctnvai) o angosce più che concrete (Clash in Via Padova).<br />
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Traspare una nitida autenticità, una passione onesta dagli undici brani contenuti in ViaVai.
Pur non essendo perfetto, l'album esibisce quarantacinque minuti di musica matura e intensa. La già menzionata einvctnvai e Come Ridere svettano dal contesto in modo netto, rinnovando, grazie al fondamentale contributo vocale di Sara Squillante, lo splendore canoro che ha segnato il progresso della musica leggera italiana negli anni Sessanta.<br />
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<iframe frameborder="no" height="100" scrolling="no" src="https://w.soundcloud.com/player/?url=https%3A//api.soundcloud.com/tracks/186660191&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false&visual=true" width="100%"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-80179040824818927212015-04-12T12:49:00.000+02:002015-04-12T12:49:11.407+02:00Polar Bear - Same As You<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgum9vE7Rfnn7pXEWSkvYxIFn5uANm6dyKioysTjpm6LXJux-4hTTJnXe_Sj4yoV92Drh8pkMuVSOh4pzEz5B-OIqIgt7Rze3PFNq_E12meRebnpmrCZx3pAQsjUfOiRhRnSkDdkG1ebdA/s1600/Same+As+You_Polar+Bear.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgum9vE7Rfnn7pXEWSkvYxIFn5uANm6dyKioysTjpm6LXJux-4hTTJnXe_Sj4yoV92Drh8pkMuVSOh4pzEz5B-OIqIgt7Rze3PFNq_E12meRebnpmrCZx3pAQsjUfOiRhRnSkDdkG1ebdA/s1600/Same+As+You_Polar+Bear.jpg" height="190" width="200" /></a></div>
<span id="goog_1585051441"></span><span id="goog_1585051442"></span>I <b>Polar Bear</b> di Seb Rochford, tre volte nominato al Mercury Music Prize, pubblicano <b><i>Same As You</i></b>.<br />
Foga e stasi strumentale si alternano in un cantico alla natura per interpretare un territorio selvaggio che profonde sentimenti autentici, positivi. Gli stessi che la band intende trasmettere con una fusione di stili jazz.<br />
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<iframe seamless="" src="https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=760818660/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/track=4020168979/transparent=true/" style="border: 0; height: 42px; width: 100%;"><a href="http://polarbearmusic.bandcamp.com/album/same-as-you">Same As You by Polar Bear</a></iframe>
Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-76879070611096668252015-03-25T17:04:00.001+01:002015-03-25T20:12:19.913+01:00Idlewild - Everything Ever Written<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMq7sLawPETDdIq9S9Z5zitVa4amv0SSsnrKPzaTHDz62_qfWEmfW3wlKqf-I1qUFr_DOvpJR44bEBQ8nHY1EkWCttjBMLEgwOfSi5OBdUJd_i4NOYc-7NkPqMmfmgsY0ZsNboO7q7TlM/s1600/cover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMq7sLawPETDdIq9S9Z5zitVa4amv0SSsnrKPzaTHDz62_qfWEmfW3wlKqf-I1qUFr_DOvpJR44bEBQ8nHY1EkWCttjBMLEgwOfSi5OBdUJd_i4NOYc-7NkPqMmfmgsY0ZsNboO7q7TlM/s1600/cover.jpg" height="200" width="200" /></a></div>
<i>Everything Ever Written è l'ottavo album in due decenni per la band scozzese. Gli Idlewild esprimono sonorità identitarie e cercano nuovi percorsi. </i><br />
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Gli scozzesi<b> Idlewild </b>hanno potuto disporre di un biennio per sviluppare un processo creativo immune da stress e da dead line. Registrato tra cielo e mare, sull’isola di Mull, <b><i>Everything Ever Written </i></b>è la loro ottava pubblicazione in vent’anni di carriera. E, a tratti, il disco manifesta un mood quieto, frutto di una produzione avvenuta tra tempi dilatati e atmosfere rilassate.<br />
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<iframe frameborder="no" height="166" scrolling="no" src="https://w.soundcloud.com/player/?url=https%3A//api.soundcloud.com/tracks/185112505&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false&visual=true" width="100%"></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-55688055480780118852015-03-18T21:09:00.000+01:002015-03-18T21:09:11.326+01:00The Sidekicks - Runners In The Nerved World<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1WvbF4UG5wck7Q5qlfVuk6Bjl79gun0rJxIj_xqNT75b833yr5C1lhF1Xg6J9M5SraQZQYow_ZEDwSjm-3f26ohf1h3qCkbYvfPp4AeI5mAwa4-BDsbobleAyPyaap59yQuGSIHPB6zQ/s1600/a2785267756_10.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1WvbF4UG5wck7Q5qlfVuk6Bjl79gun0rJxIj_xqNT75b833yr5C1lhF1Xg6J9M5SraQZQYow_ZEDwSjm-3f26ohf1h3qCkbYvfPp4AeI5mAwa4-BDsbobleAyPyaap59yQuGSIHPB6zQ/s200/a2785267756_10.jpg" /></a></div>
Ex incendiari, <b>The Sidekicks</b> mostrano oggi una natura che oscilla tra post-punk molliccio e power pop inoffensivo. Titolo evocativo e copertina con caratteri interlocutori, <b><i>Runners In The Nerved World</i></b> esclude ogni possibile connessione con il riottoso avvio di carriera della band statuitense.<br />
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<iframe seamless="" src="http://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=2672057773/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/track=3111555532/transparent=true/" style="border: 0; height: 42px; width: 100%;"><a href="http://sidekicksohio.bandcamp.com/album/runners-in-the-nerved-world">Runners In The Nerved World by The Sidekicks</a></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-14901935951496028222015-03-17T20:32:00.001+01:002015-03-17T20:33:20.918+01:00Trupa Trupa - Headache<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi2zd-ZzjvJL7ODgHZzPUBx8e7byobWmP8I4wOKDoO45qUGA-uilixcywbTwl6OU1bIA4hDKh7J7XB_NqC5SJDrK3sTngnpD00LoL41av2suUHK2L6G3eIOsbmu7kEETbnnfptrnXk3M4/s1600/headache_frontcover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi2zd-ZzjvJL7ODgHZzPUBx8e7byobWmP8I4wOKDoO45qUGA-uilixcywbTwl6OU1bIA4hDKh7J7XB_NqC5SJDrK3sTngnpD00LoL41av2suUHK2L6G3eIOsbmu7kEETbnnfptrnXk3M4/s200/headache_frontcover.jpg" /></a></div>
Si chiamano <b>Trupa Trupa</b> vengono dalla Polonia e hanno appena pubblicato <b><i>Headache</i></b>.
Il disco conta undici brani cantati in inglese e musicati sulla scorta di un rock psichedelico che ricorda i Beatles più acidi e i Radiohead più avversi al mainstream.<br />
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E’ <b><i>Snow</i></b> a lasciare affiorare il “mal di testa”, col suo accordo che regge l’intonazione di un lamento stonato e una strofa che fluttua prima di cadere nella spirale avviluppante di un ritornello strutturale.<br />
I primi punti fermi dell’intero progetto vengono fissati: essenzialità lirica che profonde suggestione e musica che altera la sua fluidità in favore di una deformazione viscosa.
Tra sogno e realtà lo sguardo dei ragazzi è un percorso che sembra esplorare la dottrina escatologica. <i><b>Sacrifice</b></i> ne è la summa (<i>I've just realised</i>/ <i>I won't sacrifice</i>/ <i>I don't even care</i>). Blanda e ipnotica lascia galleggiare le parole su un tappeto sonoro piacevolissimo, in piena antitesi con l’escalation lugubre ricreata dalla successiva <b><i>Getting Holder</i></b>.
Da qui sembra debuttare un'ideale seconda parte dell’album. La direzione intrapresa dai <b>Trupa Trupa</b> diventa musicalmente prolissa, reiterata da sonorità davvero insistite, mentre resta laconica la stesura dei testi. Una concisione che esalta un cantato sempre più cupo ed enfatizza un’armonia tesa che in più punti, ad esempio nella chilometrica title track, sfocia in puro noise. <b><i>Unbelievable</i></b> torna ai toni pastello e alle atmosfere più rarefatte, ma è un filo sottile, presto spezzato dal mood alienato ed entropico di <b><i>Picture Yourself</i></b>.<br />
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<i><b>Headache</b></i> è una piacevole scoperta che svela una band capace di emergere lontano dai soliti lidi fortunati.
Uscito in CD il 7 marzo, il concept sarà disponibile anche su cassetta (un supporto che quasi incredibilmente si ripropone) dal 28.<br />
Difficili da pronunciare e da memorizzare, ma meritevoli di menzione, i nomi dei quattro componenti la band: Grzegorz Kwiatkowski (chitarra e voce), Wojciech Juchniewicz (basso, chitarra e voce), Rafal Wojczal (tastiere e chitarra) e Tomek Pawluczuk (batteria).<p>
<iframe style="border: 0; width: 100%; height: 42px;" src="http://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=3841575304/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/transparent=true/" seamless><a href="http://trupatrupa.bandcamp.com/album/headache">Headache by TRUPA TRUPA</a></iframe>Francesco Santorohttp://www.blogger.com/profile/03835138181323398996noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5700124399183131972.post-50947586000989010862015-03-06T19:07:00.000+01:002015-03-06T19:20:19.466+01:00Clarence Clarity - No Now<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCxU-7CQ6XW_dBrDJMqgshqbkblvb98c-1O5rDcmPoZuKpKFPPLvhZkb55R5OzQRXMqfqr5y6b73d87wivZ-tlXFfDxhyGbaZHC5hCwnjzW96GloSESIjmU_Lum5FHUHqI5tkerj8nqy8/s1600/Clarence_Clarity_-_NO_NOW.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCxU-7CQ6XW_dBrDJMqgshqbkblvb98c-1O5rDcmPoZuKpKFPPLvhZkb55R5OzQRXMqfqr5y6b73d87wivZ-tlXFfDxhyGbaZHC5hCwnjzW96GloSESIjmU_Lum5FHUHqI5tkerj8nqy8/s1600/Clarence_Clarity_-_NO_NOW.jpeg" height="200" width="200" /></a></div>
<b>Clarence Clarity </b>debutta con il suo primo vero album il 3 marzo.<br />
<i><b>No Now</b></i> riprende idee parzialmente comparse nell'EP Save Thyself (2013), ne sviluppa la trama e ne approfondisce la prosodia.
Il numero ipertrofico di brani realizzati, ben venti, attecchisce nel terreno fertile dell'electropop.
L'eccesso di idee elaborate sperimenta una “non” forma-canzone, ampliando i limiti di una proposta strabocchevole.
Il disco non nasconde riferimenti di stile, più che citazioni, richiamando periodi ed evitando accostamenti a personaggi, evidenziando interesse per i suoni che hanno reso celebri i sintetizzatori nella prima metà degli anni '80. In questo, No Now contiene rievocazioni – quasi dei flashback sonori – che si innestano nella contemporaneità di un progetto parcellizzato nel suo fluire.
Barricato dietro un nickname che ne preserva la vita privata, il britannico sembra favorire una certa preferenza per la comunicazione musicale in favore di ogni altro tipo di ostentazione. Il musicista e produttore lascia trapelare scarse informazioni sul proprio conto, preferendo erigere quell’impenetrabile varco che argina pruderie extra-professionali. O forse, è solo una ritrosia di facciata che cela una strategia per incrementare curiosità.
<span style="color: white;">US5WNYHWQP3R</span><br />
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