mercoledì 20 febbraio 2013

Push The Sky Away – Nick Cave & The Bad Seeds

Diciamolo subito: il nuovo album di Nick Cave non ha l’impatto dirompente di quelli che lo hanno preceduto. Non c’è traccia della ferocia di Let Love In, della straziante disperazione – amorosa o religiosa – di No More Shall We part e The Boatman’s Call e neanche dell’irriverente energia che caratterizzava la maggior parte degli episodi dell’ultimo Dig, Lazarus, Dig!!! Ma non per questo Push The Sky Away è un capitolo meno interessante nel lungo percorso artistico del poeta australiano.

Partiamo dai fatti. Intorno al 15° lavoro di Nick Cave e dei Bad Seeds ruotano una serie di eventi che con molta probabilità hanno influenzato la realizzazione dell’album. Anzitutto è il primo senza il polistrumentista Mick Harvey, compagno di avventura di Nick Cave fin dai tempi del liceo. Insieme fondarono i The Boys Next Door, ribattezzati dopo pochi anni i The Birthday Party, dalle cui ceneri nacquero successivamente i Bad Seeds. Ma se qualcosa è andato perduto, altre cose si sono invece consolidate. Parliamo dell’esperienza di Nick Cave come compositore di colonne sonore e come leader dei Grinderman, la garage band fondata nel 2006 con Warren Ellis, Martyn P. Casey e Jim Sclavunos (tutti e tre componenti dei Bad Seeds) con cui Nick Cave ha già inciso due dischi. In realtà lo stesso Cave ha affermato, nel corso di un concerto in Australia nel dicembre 2011, che l’esperienza dei Grinderman è già finita. Ma è difficile stabilire se fosse serio o scherzasse, anche considerato che l’annuncio si è concluso con la frase “Ci rivediamo tra 10 anni, quando saremo ancora più vecchi e brutti”.

È comunque da questi tre episodi che si definiscono i contorni di Push The Sky Away. Il 15° album di Nick Cave segna infatti un punto di rottura rispetto al passato. Affonda le radici nello stile più soffuso della colonna sonora. È introspettivo, apparentemente scarno (per fare rumore ci sono sempre i Grinderman). Ma attenzione. L’intimismo di Push The Sky Away è molto diverso da quello di album iperpersonali come No More Shall We Part o The Boatman’s Call. Questi ultimi, ma in generale tutti i lavori targati Cave, non potevano esistere senza un pubblico. Che si trattasse di preghiere rivolte a Dio, di dichiarazioni d’amore alla propria donna, di invettive e minacce, Nick Cave ha sempre puntato il dito verso qualcuno. Anche con un ostentato esibizionismo. Stavolta non è così. Push The Sky Away si contorce su se stesso. La sua forza è centripeta. Scorre con un moto circolare che, anche là dove accelera, non raccogliere mai tanta energia da schizzare oltre i confini del più profondo io. Il confine che Cave e soci hanno stabilito per il loro ultimo lavoro.

E così, la voce di Nick Cave parla a se stesso tra suoni stranianti. Tanto ripetitivi da poterci rimettere l’orologio. Regnano loop e delay. Come tarli che rodono la testa. Ad accomunare i brani è una costante tensione, a volte più tagliente, altre volte più riflessiva, ma sempre contenuta. A caratterizzarli è il richiamo ai vecchi canti di schiavi nelle piantagioni o i rumori monotoni e alienanti delle catene di montaggio delle fabbriche. Effetti utilizzati soprattutto in brani come We No Who U R, Finishing Jubilee Street e la straziata Higgs Boson Blues.

Come sempre Nick Cave si lascia ispirare da storie umane. Racconta personaggi, apparentemente senza scrupoli, quasi sempre disperati, ma sempre e comunque reietti. Ma usa uno stile narrativo meno lineare di quello a cui ci ha abituati, prediligendo piuttosto l’uso di immagini e sensazioni.

Jubilee Street è la traccia che più risponde alla classica forma canzone, la più facile da approcciare, in fin dei conti la più gradevole, grazie anche al tratto sicuro del violino di Warren Ellis che ne dipinge i contorni.

Ma è con l’ultima traccia, quella che dà il titolo all’album, che Nick Cave lascia il segno più profondo. Le sue ultime parole sono come un testamento, racchiuso in un lento e straniante requiem accompagnato da un coro di voci bianche. E ci dicono che anche se “Some people/Say it's just rock'n roll/Oh but it gets you/Right down to your soul/You've got to just/Keep on pushing/Keep on pushing/Push the sky away”.

Lucia Conti*

  La clip uncensored di Jubilee Street è qui 

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* L’uscita di Push The Sky Away ha catalizzato l’attenzione dei media. Nick Cave è l’artista del momento. Ma prima ancora che musicista da copertina è cantautore profondo, indigesto e tenebroso, non impostore compiacente e presenzialista. La sua nuova pubblicazione non poteva essere trattata con approssimazione ma con perizia chirurgica. E per eseguire un tale delicato intervento, “el currandero” – per la prima volta – ha lasciato il posto al primario di chirurgia. Anzi alla primaria. Il pezzo è di Lucia Conti, giornalista professionista, “caveologa” integralista e “yorkeologa” praticante. Grazie Lu per aver scelto questo posto.

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