martedì 4 dicembre 2012

Medimex 2012

I workshop di Nicola Piovani e di Guido Harari, gli showcase, le rivelazioni dell’impresario di Springsteen sul prossimo tour italiano, i concerti del redivivo Edda e del sorprendente Luca Sapio. Sono solo alcuni degli eventi presentati al Medimex (Mediterranean Music Expo), la fiera della musica che si conferma punto d’incontro privilegiato per chi vuole trasformare le opportunità artistiche in lavoro.
Si è chiusa la ricca tre giorni del MEDIMEX, Fiera delle Musiche del Mediterraneo, promossa da Puglia Sounds il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema musicale. Anche per questa seconda edizione la città di Bari ha messo a disposizione gli imponenti 8000 mq di spazio espositivo per accogliere, dal 30 novembre al 2 dicembre, interessanti incontri, eventi esclusivi ed energici concerti. Tra gli showcase della prima serata quello dei Nobraino ha colpito per impatto sonoro e vitalità sprigionata nell’arco di soli quaranta minuti. Il pubblico avrebbe desiderato godersi più a lungo il dinamismo bruciante del gruppo, ma la serafica ammissione di Lorenzo Kruger (“il vostro parere non conta un cazzo e se è per questo nemmeno il nostro”) ha lasciato intendere che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di sforare sul programma. Singolare anche lo show successivo. Enzo Avitabile coinvolge con una performance che canalizza fiati e percussioni (straordinario l’impatto della backing band dei Bottari) dentro la sua world music dal mood partenopeo. Unico rimpianto della serata, l’esordio in tarda serata per Frankie Chavez, bluesman portoghese, costretto ad esibirsi dopo la mezzanotte.

Tra i numerosi workshop merita una menzione particolare quella denominata “La bottega dell’autore”, incentrata su figure di rilievo della nostra musica. Ambasciatori nel mondo dell’arte italiana, Nicola Piovani e Guido Harari sono campioni del pentagramma e dell’immagine del nostro tempo. Nicola Piovani si definisce fautore del libero pensiero (“che non va tanto di moda, oggi”) e lo conferma donando nuova linfa al latinismo Amicus Plato, sed magis amica veritas, una sentenza in cui crede fermamente e che designa la rotta artistica di un percorso polimorfo. La notorietà ricevuta con i suoi lavori per il cinema focalizza il racconto. Gli aneddoti sui grandi registi con i quali ha collaborato sono molti e sono pregnanti. C’è una storia da raccontare per ogni partitura scritta, per ogni colonna sonora realizzata. Piovani passa in rassegna il rapporto con Bellocchio, la verbosa laboriosità preda dei fratelli Taviani, l’alacrità di Fellini, la genialità di Benigni e la maniacalità di Moretti. C’è spazio anche per la confessione che conferma il suo approccio diversificato all’arte musicale. In anteprima, Piovani rivela di aver messo mano ad un lavoro tutto suo, un album di 12 canzoni che verrà pubblicato dalla Sony. Tra serenate, macchiette e temi popolari il maestro annuncia di aver “già scritto 11 brani strumentali da un minuto e mezzo” con alcuni testi autografi, altri firmati da Noa, Benigni, Cerami e, a quanto pare, uno che riprende parole di Pirandello. Canzoni legate da un accordo: lo stesso che provvede a spegnere il pezzo è lo stesso che lo riaccende. Nell’album troverà spazio anche “una specie di esercizio di stile”, una canzone spagnola posticcia e fintamente tradotta in italiano in cui si cerca di riprodurre il sentimento di certe vecchie melodie. Non emerge durante l’incontro ma, con lo scambio di battute che avviene dopo, il compositore afferma che De Gregori sarà ospite di questo suo primo progetto “pop”, in una sorta di scambio di partecipazioni. I due, infatti, hanno iniziato a collaborare con “Guarda che non sono io” (tratto dal nuovo Sulla Strada), brano che vede la firma di Piovani sull’arrangiamento di archi. E anche qui, come spesso gli è successo, il premio Oscar ha assolto ad una richiesta inaspettata con l’urgenza propria del luminare di medicina che soccorre il paziente. «Mi ha chiamato la sera prima (De Gregori, ndt) perché doveva inserire gli archi. Mi ha detto: “Solo pianoforte non regge, mi aiuti?”. Lui sta lavorando ad un disco mio e io ho scritto gli archi e glieli ho portati».

Nella hall che ospita il workshop incentrato sul suo straordinario lavoro, Guido Harari si presenta pimpante e pieno di entusiasmo. Aspetto giovanile e battuta sempre pronta, il fotografo del rock per eccellenza dispensa sorrisi, autografi e risulta espansivo oltre ogni immaginazione. La sua bottega elabora immagini, cattura lo sguardo, ruba l’essenza dell’artista, ne immortala il mito. Harari ha iniziato quarant’anni fa una carriera costellata di successi che forse non ha eguali. Più facile ricordare i nomi di chi non ha posato per lui piuttosto che elencare quelli che si sono prestati ai suoi flash. Ha fermato la giovinezza e l’umore di tutti, e con tutti è riuscito ad instaurare un rapporto confidenziale che ha portato la sua opera ad uno stadio successivo alla mera pubblicità, un livello così elevato da risultare quasi mistico. Bob Marley manifestava la sua identità attraverso l’ostentazione dei dreadlocks, eppure Harari ha fotografato il volto del rastafariano in primo piano, tra chiaroscuri del bianco e nero che ne inghiottiscono la capigliatura. Un esperimento coraggioso, avallato da un artista che si è concesso in piena rilassatezza all’occhio indagatore della macchina fotografica. Harari ha mantenuto un rapporto sincero con artisti altezzosi, star di prima grandezza cresciute a vizi e abituate a scansare chiunque per puro capriccio. Con Lou Reed, l’orso per antonomasia del mondo rock, si è instaurata un’affinità che ha aperto a concessioni inverosimili. Non sarebbe difficile trovare risposta, ma quanti fotografi hanno ricevuto la licenza di poter mettere in braccio allo scontroso newyorkese il proprio figlio per poi trarne un profilo intimo ed esclusivo? Quanti hanno avuto modo di confessare le proprie inquietudini a cena con Joni Mitchell? Quanti hanno avuto la possibilità di rappresentare pienamente quella malinconia che ha attanagliato Tim e Jeff Buckley durante la loro breve vita? Forse solo un professionista serio ma dotato di grande empatia. Uno che passa sopra, con leggerezza e signorilità, alla gaffe spettacolare siglata da Ernesto Assante (moderatore dell’incontro) che scambia il lavoro di un altro fotografo per quello di Harari. E’ fatto così il talentuoso reporter, volentieri si presta a posare per una foto ricordo fissando una sola condizione: “non toccarmi il culo”. Il suo lavoro oggi continua, anche se “nell’era dei pass” è difficile frantumare quel naturale schermo che l’artista erige tra sé e il fotografo. E tra una domanda e l’altra salta fuori quella che tira in ballo i musicisti italiani, promotori di modi artefatti in antitesi alla semplicità che accompagna i veri fuoriclasse. Il lungo silenzio introduttivo che caratterizza la risposta, tanto sintetica quanto eloquente, è imbarazzante. Alla ricerca di parole significative Harari cerca di trovare, invano, un perché di tutte quelle sovrastrutture, maglie strette di una trama che filtra ogni accesso. Un’inflessibilità alla cura dell’immagine che pare davvero essere deleteria. Guido Harari oggi ha sbilanciato la sua opera sul lavoro d’archivio. Nella “residenza per goderecci” di Alba ha fondato una galleria che espone stabilmente ritratti fotografici, suoi e di altri illustri colleghi. La Wall Of Sound Gallery (http://www.wallofsoundgallery.com/) – davvero unica nel suo genere – ospiterà la rassegna “Vinicio Capossela & Tom Waits, le fotografie di Guido Harari” fino al prossimo 20 gennaio. Una imperdibile occasione per ammirare i lavori del grande fotografo, una ghiotta occasione per conoscere l’uomo.

“La musica dal vivo in Europa: esperienze a confronto, prospettive e sinergie” è il titolo dell’incontro moderato dal giornalista Enzo Gentile. Tra gli interventi anche quello di Claudio Trotta, fondatore di Barley Arts Promotion, che espone la sua tesi circa il successo dei festival stranieri. "I festival in Europa sono così di successo perché bevono molto (gli spettatori, ndt) ma molto più di noi. Sembra una stupidaggine, invece è un elemento fondamentale perché dalla ristorazione gli organizzatori prendono dei ricavi altissimi". Gelo in platea e stupore tra gli altri ospiti (tra cui i giovani stranieri Andras Berta, International Relations Director Sziget Festival, e Ivan Milivojev, program manager EXIT Festival), ma se a dirlo è il navigato impresario che porta Springsteen in Italia ci sarà pure da credergli. Anzi proprio sulla pianificazione del concerto organizzato a Napoli, per il prossimo 30 maggio, Trotta spiega perché la scelta è ricaduta sulla città partenopea e non su Bari, anch'essa tra le città candidate ad ospitare una tappa italiana del Wrecking Ball Tour 2013. “Michele Emiliano (sindaco del capoluogo pugliese) si è speso personalmente, mi ha telefonato, mi ha offerto gli spazi. E' stata fatta una scelta da me e dal management dell'artista che ha preferito all'Arena della Vittoria (il vecchio stadio di calcio di Bari, ndt) la Piazza del Plebiscito (a Napoli, ndt). Punto e basta. E' semplicemente un ragionamento che riguarda la location. Per quanto attiene lo Stadio San Nicola (il maggiore impianto sportivo di Bari con spalti molto distanti dal terreno di gioco, ndt) già durante le partite bisogna immaginare i calciatori, figurarsi per un concerto! Non è nella filosofia di come cerco di organizzare i concerti di Bruce. Aggiungo che sono anni che tento di fare concerti di Springsteen con la E Street Band al sud. Addirittura – vi svelo un retroscena – quest'anno volevo organizzarne due, di cui uno in Sicilia. Non sono riuscito a farlo per problemi di natura geografica".

Nello spazio adiacente gli stand della fiera, si tiene la cerimonia di consegna del PIMI – Premio Italiano Musica Indipendente a cura del MEI. Sul palco si alternano i premiati tra i quali il redivivo e folle Edda (ex Ritmo Tribale), lo schivo Colapesce e i tenebrosi Afterhours, ma a smuovere i pochi spettatori presenti ci pensa un Luca Sapio in palla, esponente della black music più tradizionale e trascinante.
Il sipario si chiude sulla ben organizzata kermesse barese. I protagonisti della musica hanno avuto modo di incontrare gli addetti ai lavori e gli appassionati. Tra il tripudio di certa scena indie-ma-non-troppo, il sollazzo di austere major e meeting di grande prestigio permangono alcuni dubbi. Ad esempio, perché i workshop devono ancora oggi presidiarli Assante e Castaldo? Perché l’assegnazione di alcuni premi resta ad esclusivo appannaggio di XL-Repubblica e Mucchio? “La musica è lavoro” è uno degli slogan creati per questa fiera. Sarebbe vero se solo si vedessero lavorare facce nuove accanto ai soliti noti.

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