Un progetto per dare voce a quella “ordinary people” silenziosa e laboriosa che ha fatto l’America.
Si chiama The People Speak e compendia immagini, musica, storia e letteratura in un documentario di 90 minuti e in una compilation di 12 brani.
Matt Damon, Marisa Tomei, Don Cheadle, Viggo Mortenson, Josh Brolin e molti altri illustri attori prestano volto, voce ed appassionata interpretazione al lungometraggio basato su due libri (“A People’s History of the United States” e “Voices of a People’s History of the United State”) di Howard Zinn, docente, storico statunitense e attivista politico di lungo corso. Cantautori del calibro di Bob Dylan, Bruce Springteen, Ed Vedder e Rick Robinson, invece, partecipano con registrazioni inedite alla colonna sonora che rispolvera inni folk di straordinaria potenza.
Il film è incentrato sulla narrazione di racconti e sulla lettura di diari, lettere e altri documenti scritti da quella maggioranza in ombra che ha reso possibile il dettame costituzionale incluso nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. Il coinvolgente reading delle star hollywoodiane rende giustizia alla bistrattata working class, agli orgogliosi afroamericani, agli indomiti nativi e alle paladine dei diritti civili per le donne che hanno reso esemplare il loro percorso verso l’emancipazione negli States.
Rivendicazioni, dure e coinvolgenti, riemergono da epoche lontane: “L'intera storia del progresso della libertà dell’uomo dimostra che tutte le concessioni ottenute su nobili rivendicazioni sono nate da serrata lotta […] che può essere morale o fisica, ma deve essere lotta. […] Se non c’è lotta non c’è progresso”. Parole come macigni che invitano all’azione e che infondono speranza. Sono tratte da un discorso del 1857 di un affrancato Frederick Douglass, primo nero d’America emerso in ambito politico. Ancora oggi fanno riflettere alla stessa stregua delle affermazioni di ira mista a conforto sputate dal Tom Joad di Steinbeck: “Dovunque si lotti per sfamare il popolo, ci sarò. Dovunque un poliziotto pesti un ragazzo, ci sarò." Affermazioni che si ritrovano anche nel "Communist Manifesto" di Bruce Springsteen The Ghost Of Tom Joad.
Gli Stati Uniti hanno sempre trovato nella musica popolare una fonte inesauribile di riscatto e di incoraggiamento. Un paese che riconosce, per ogni epoca, un pugno di cantori capaci di vomitare strali ed invettive di intere generazioni e che individua autori abili nell’esorcizzare, con vena creativa inimitabile, i drammi della comunità. Letteratura e musica che si intersecano fino a diventare denominatore unico della cultura. Ecco perché alla recitazione di brani tratti da Furore, epopea di una famiglia ai tempi della Grande Depressione, si alterna l’interpretazione di This Land Is Your Land, scritta da Woody Guthrie nel 1940, e ancora una volta riproposta da Springsteen. Al progetto musicale aderisce buona parte del mondo folk più noto, quello che “vende”, e vede menestrelli di ieri e di oggi prodigarsi nel creare la spina dorsale di un lungometraggio davvero interessante. A Bob Dylan e Ry Cooder spetta il compito di rileggere Do Re Mi, un altro classico del repertorio di Guthrie (un americano comunista!), John Legend rifà il Marvin Gaye impegnato autore di What's Going On, Jackson Browne canta la sua The Drums of War e un Ed Vedder sempre più unplugged esegue una personale versione di Master Of War, dylaniano afflato poetico degli anni ‘60. Solo alcune performance presenti in video, però, vengono riproposte nella colonna sonora. Tra queste una “Depression-era labor song” intitolata Brother, Can You Spare a Dime?, straordinario inno alla solidarietà ad opera di Allison Moorer, Only a Pawn in Their Game (ancora di Dylan) folk ballad di aspra denuncia intonata dal “corvo nero” Rich Robinson e See How We Are, amabile canto a due voci per Exene Cervenka e John Doe (degli X).
La tracklist del CD assembla una godibile compilation di american roots music che lascia spazio anche a voci svincolate dal folk. E’ il caso della giovane promessa hip hop Lupe Fiasco, con l’acoustic rap version di American Terrorist, Taj Mahal con il suo Blues With A Feeling, Randy Newman con una sempre bella Sail Away e P!nk con Dear Mr. President, recente ambasciata inoltrata a George W. Bush in prosa e musica.
Il dormiveglia di certi ambienti culturali, oggi, sembra finalmente cessato e pare di assistere al ridestarsi di un movimento sempre più imponente pronto a rivalutare certa politica di stampo socialista: un bel passo verso una democrazia piena e mai realizzata nel paese dei mille contrasti. Un plauso va sicuramente tributato agli attori che si sono cimentati nella lettura di testi di non facile interpretazione e ai musicisti che hanno offerto versioni inedite di protest songs immortali. Il merito più grande, però, è soprattutto dell’irriducibile Howard Zinn, combattivo ottantasettene, che ha coinvolto tutti questi artisti in un progetto coraggioso e di ampio respiro: evidenziare come nella vita di tutti i giorni è possibile riaffermare valori spesso soffocati nella più indifferente iniquità. Come Springsteen ha dichiarato a Rolling Stone (quello americano, of course) nel 2007: “A People’s History of the United States (di Howard Zinn, nda) ha avuto su di me un enorme impatto […] mi ha fatto sentire parte della storia e mi ha indotto a vivere in modo partecipe”. Una dichiarazione vincolante che trova riscontro anche nella sua ultima dichiarazione in favore dei diritti di gay e lesbiche. E a proposito di dichiarazioni, lascia il segno l’incipit di presentazione al film: “Piuttosto che una certezza incisa nella pietra, gli Stati Uniti sono sempre stati un progetto in evoluzione”. Lo stesso principio che è alla base della musica popolare americana: arte in continua trasformazione che ha il pregio di cantare le tangibili assurdità dei tempi e le incredibili vicende umane di ogni stagione. Ecco perché alla drammatica interpretazione di documenti ritenuti solenni, il film accosta sobrie esibizioni di “profane” canzoni del dissenso.
Forse due i difetti riscontrabili nell’intero progetto: la ridotta track list selezionata a fronte di una colossale disponibilità antologica (peccato non trovare gli anatemi di Phil Ochs e il banjo di Pete Seeger) e l’esclusione, nel CD, di alcune performance presenti nel film documentario (ad esempio Vigilante Man ancora a cura di Dylan con Cooder).
The People Speak andrà in onda, solo negli USA, il 13 dicembre su History Channel e il relativo DVD sarà in commercio presumibilmente dal marzo 2010.
Il CD, invece, è già in vendita.
Qui un video di Viggo Mortensen che interpreta Masters Of War
Padroni della guerra (Masters of War)
Venite padroni della guerra
voi che costruite i grossi cannoni
voi che costruite gli aeroplani di morte
voi che costruite tutte le bombe
voi che vi nascondete dietro i muri
voi che vi nascondete dietro le scrivanie
voglio solo che sappiate
che posso vedere attraverso le vostre maschere
[...]
e spero che moriate
e che la vostra morte venga presto
seguirò la vostra bara
un pallido pomeriggio
e guarderò mentre vi calano
giù nella fossa
e starò sulla vostra tomba
finchè non sarò sicuro che siete morti
- Bob Dylan, 1963 -
2 commenti:
E bravo Francesco per questo articolo approfondito, che ha avuto il merito di farmi riascoltare, dopo un paio di anni di oblio, la canzone The ghost of Tom Joad, del buon Bruce.
Come è la nuova interpretazione di This land is your land?
Ciao Colonnello!
This Land Is Your Land: si tratta di una versione casalinga, solo voce e chitarra.
Puoi vedere ed ascoltare un piccolo frame aprendo (o scaricando) l'unico link del post. Bruce appare una prima volta dopo 15 secondi e poi dopo 2 minuti e 20 esegue il pezzo di Guthrie.
Grazie mille per il commento.
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