Accolto bene da pubblico e critica, complice anche l’eccessiva esposizione mediatica, il disco genera sei singoli di successo e vince premi importanti che spingono la diciottenne nel vorticoso business discografico. Il trionfo, però, mina le velleità artistiche della cantautrice costretta a misurarsi con un’industria schiacciasassi. A complicare tutto, un discorso estemporaneo molto particolare.
La copertina mostra un viso, giovane, dagli occhi azzurri e dalla pelle diafana; l’ascolto svela un canto, deciso, che manifesta una maturità imprevista.
Fiona Apple ammalia, e a tratti uccide, con un binomio voce-pianoforte che in Tidal suona come un piacevole tormento alt-jazz: sofisticate atmosfere e delicate melodie, si sporcano nella melma di ricordi opprimenti che affiorano, implacabili, nei testi vergati dalla newyorkese.
Un debut album che delinea un percorso autobiografico fluito da una crepa nel guscio dei sentimenti: dieci brani in cui fluttuano testi intensi ed istintivi, tra musiche dalla portata voluminosa e vocalità sussurrate e in crescendo.
Il piano conduce, e la voce asseconda, un amalgama tra musica di derivazione classica e pop di pregevole fattura. Come ha detto Andrew Slater, abile produttore di Tidal, “Fiona è affascinata dall’hip hop ma non nasconde l’amore per la musica classica e per i cantanti della vecchia scuola come Ella Fitzgerald”. Vero. Cadenzato in Sleep To Dream, disilluso in Shadowboxer, ammiccante in Criminal, esotico in The First Taste, confidenziale in Slow Like Honey, il suo modo di cantare si confonde, seducente e autorevole, tra moderno e tradizionale.
Come in Never Is A Promise, sorta di suite sperimentale, dove la Apple stende la sua preziosa voce su un arrangiamento che prevede solo archi e pianoforte (solo piano qui).
Ma è in Sullen Girl che il dualismo tra classico e moderno si esalta e manifesta l’essenza dell’intero lavoro. Il testo introspettivo piange lacrime asciugate dall’arioso accompagnamento strumentale ben piantato nel solco della tradizione americana, con misurata incursione di pedal steel e discreto drumming. Brano intenso plasmato da un lamento scivoloso che più volte srotola la stessa malinconica nenia (It’s calm under the waves in the blue of my oblivion/ C’è quiete sotto le onde nel blu del mio oblio).
Tidal mette in luce l’audace personalità della giovane compositrice e la valida regia del produttore, senza tralasciare la parte narrativa. La disinvoltura impiegata per rivelare pensieri reconditi porta a vicende patite in prima persona e trascritte dal diario di un’adolescente truffata dalla vita. Liriche che cristallizzano, con intento esorcizzante, lo scorrere inesorabile e molesto di pensieri tristi e ricordi dolenti che sgorgano dal profondo: ecco come la canzone assume quel ruolo taumaturgico che solo la divulgazione di un segreto, a volte, può concedere. Ma il ricorso all’arte, intrapreso per neutralizzare un passato popolato da fantasmi, si tramuta da sogno a incubo. Fiona diventa un personaggio dal forte appeal, un fenomeno di massa di facile consumo, manipolabile, e che finisce nel perverso ed inevitabile ingranaggio affaristico della macchina musicale. Quando l’ambiente discografico comincia a puzzare di eccessivo compromesso, però, la ragazza sbotta alla cerimonia degli “MTV Video Music Awards” del 1997. In nomination per Sleep To Dream nella categoria “Best New Artist in a Video”, vince e accoglie il premio pronunciando un riottoso discorso.
Ragazzi ... oh, ragazzi! Non ho preparato un discorso, e me ne dispiace, ma sono contenta di non averlo fatto, perché ne farò uno che nessun altro fa. Per tutti quelli che dovrei ringraziare, mi dispiace, ma devo usare questo tempo. Vedete, Maya Angelou ha detto che noi, in quanto esseri umani, al massimo possiamo solo creare opportunità. E voglio usare questa opportunità alla mia maniera. Voglio dire a quelli che desiderano questo mondo, che (questo mondo) è una merda. E che non dovreste prenderlo come modello di vita! E’ tutta merda: quello che noi crediamo sia fico, la maniera in cui ci vestiamo, che diciamo, tutto. Trovate la vostra strada! Trovate la vostra strada!
E voglio dire a poche persone alcune cose. Voglio dire: mamma ti voglio bene, e sono così contenta che stiamo diventando amiche. Amber, ti voglio bene, sei mia sorella e la mia migliore amica.
Andy Slater, nessun altro avrebbe prodotto questo album come te, davvero, nessuno. E' stupido che io stia in questo mondo, ma voi siete così carini con me. Perciò grazie mille.
Ciao.
Un ingenuo monologo che ha il merito di rendere autentica la genesi di Tidal ma che non piace alla cerchia del music business – cui lei stessa appartiene – e che contribuisce a rendere arduo un percorso artistico ancora oggi travagliato.
Traduzione del discorso di Fiona Apple a cura dell’intrepido Giapo. Grazie Brother!
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