venerdì 28 novembre 2008

Suspended in my masquerade (storia di un incontro ravvicinato del III tipo)

- foto di Giapo -

La giornata doveva essere assolutamente spensierata. Noi tre (i soliti!) avevamo programmato tempi, soste e quant’altro, ben prima del giorno fissato per l’ennesimo concerto di Springsteen in Italia. Con l’anima in pace, ci eravamo detti che questo sarebbe stato un concerto tranquillo, di quelli da vivere con poche ansie e zero preoccupazioni. Sveglia ad un orario comodo, giro in città, pranzo e poi con tutta calma, in coda ai cancelli d’ingresso del Forum di Assago. Del resto faceva molto freddo e di restare per ore in fila - stavolta - non se ne parlava. Anzi, dopo pochi minuti di attesa sotto il plumbeo cielo della gelida Milano, già smaniavo dalla voglia di bere un tè caldo!
Il destino, però, aveva in serbo piacevoli sorprese per una serata davvero speciale.
Per brevità espositiva scrivo solo che, in maniera rocambolesca, io, Miss “E” e “Giapo”, grazie al nostro “lEgno passepartout”, ad un pizzico di buona sorte e ad una galoppata niente male, siamo giunti nel “pit”.

Esattamente un anno fa, dunque, mi accingevo ad una visita cardiologica dall’esito incerto: a testare la funzionalità delle mie coronarie, infatti, ci pensava il Dr. Springsteen con un incredibile double shot “Incident On 57th Street/ The E Street Shuffle”. La mia più fervida immaginazione non avrebbe mai potuto partorire tale fantasia ed invece, questi due storici brani, sono stati inseriti in scaletta e riproposti (in sequenza!) con ritrovata freschezza.
Destabilizzante anche l’energia profusa per una versione decisamente Hard Rock di Adam Raised A Cain (per quel che conta) uno dei miei brani preferiti.
Canzoni come questa, fanno davvero (s)correre il sangue nelle vene tanto da mandarlo in ebollizione. Ti fanno sentire vivo.
Sconvolgente, inoltre, l’adattamento blues di Reason To Believe, leggendario pezzo tratto da “Nebraska”, che da solo è valso il prezzo del biglietto. Questa folk song, morta per annegamento nelle fangose rive del Mississippi e risorta con anima intrisa di Delta Blues, è stata presentata in una versione antesignana della “A Night With The Jersey Devil” concessa in dono a tutti gl’internauti lo scorso Halloween. Il vecchio brano, terminato con balbettio simile a quello emesso da Roger Daltrey in “My G(-g-g)eneration”, è stata la migliore novità tra quelle proposte nel “Magic Tour” anche se, a dirla tutta, una scarna versione già rielaborata, Bruce l’aveva esibita durante il “Devils & Dust Tour” del 2005. All’epoca una pedana in legno (sorta di grancassa buona per portarci il tempo con i piedi), l’armonica e un microfono Green Bullet (o Blues Blaster Hohner o qualcosa del genere) sopperivano alla mancanza di altri strumenti.

E poi … che dire della vigorosa stretta di mano al Capo in persona?
Succede che il rocker, si presta ad un piccolo bagno di folla su “Thenth Avenue Freeze-Out”. Ricordo tutto alla perfezione e soprattutto ricordo la sua faccia subito dopo quanto mi appresto a narrare. Un’espressione traducibile in: “Ragazzi, che presa! L’ho scampata bella”.
Springsteen protende il braccio sulle prime file, in pratica dove sono io, in atteggiamento misto tra il rassegnato (Ok, sequestrate la mia mano), l’intimidito (Non mi fratturate le falangi, sono i miei attrezzi da lavoro) e l’atterrito (Mio dio, l’anello!).
Quando il suo avambraccio è ormai accerchiato da mani di altri fans, ben conscio di essere privo del tipico selfcontrol inglese, mi ci fiondo sopra e, anticipando tutti, stringo la mano che ha composto (due a caso) Darkness e Jungleland. Posso tramandare ai posteri il racconto di un fenomeno che - è proprio il caso di dirlo - ho “toccato con mano”.

- foto recuperata in rete -

Il body builder del NJ è immobile sul bordo del palco, con postura da “colpo della strega”. E’ stretto nella mia morsa e in lui, sento ormai prevalere una certa rassegnazione. Poi, mentre cerca di ritrarre il braccio, mi accorgo che sta per lasciarmi (in modo assolutamente involontario) il suo anello in mano. Mollo la presa proprio quando il prezioso (?) cerchietto è molto più vicino alla punta che alla base del suo anulare sinistro. Chissà se quello era l’anello un tempo appartenuto a John Steinbeck. Non so. In tal caso sono ben felice di essere venuto a contato con un vero “tessssoro”.
La mia prolungata ed energica stretta di mano ha consentito a tanti altri attorno a me (a rivedere l’immagine, circa quindici corpi stretti in mezzo metro quadrato!) di toccare l’oracolo. Il pigiato spettatore/testimone che mi sta davanti si gira, mi guarda con occhi sbarrati (come se avesse avuto in regalo un milione di euro) mi porge la mano e, compiaciuto, annuisce. Contraccambio e subito volgo lo sguardo a Bruce: lo vedo andar via, felice per lo scampato pericolo, mentre rimette a posto il prezioso ornamento.
Il mio pensiero subito dopo l’evento? Io, posso camminare sulle nuvole!

- foto di "Rudy" recuperata in rete -

Ammetto di essere stato un feroce critico di “Magic” (sono pronto a reiterare il reato), ma con altrettanta sincerità riconosco che alcuni brani di questo disco, si prestano perfettamente alle dinamiche da concerto. “Radio Nowhere”, su tutte, è un gran bel pezzo con chitarre e batteria in evidenza. E’ il brano più appropriato per iniziare il concerto: consente agli astanti di scaricare tutta l’adrenalina accumulata nelle ore di attesa. Non male “Gypsy Biker” (anche se sa di già sentito), mentre corre l’obbligo di menzionare una piccola rivoluzione avvenuta durante la piacevole “Long Walk Home”: qui Bruce mette da parte il suo individualismo per dare spazio (ma solo per trenta secondi!) alla voce, diversamente gracchiante dal solito, di Steve Van Zandt, concedendogli la possibilità di fare qualche bel vocalizzo in pieno stile soul.
Per la sempre adorabile “Badlands”, non si possono più spendere parole originali: in trent’anni, tutto è stato detto, scritto e pensato.
Su “Born To Run” devo assolutamente rinnovare il mio personalissimo rito paranoico, e lo faccio: svesto la maglia, rigorosamente bianca, che indosso e la lancio.

Il concerto, snello, senza estenuanti coretti tra palco e pubblico e senza pause, termina con “American Land” in un tripudio di luci, colori e gente tanto entusiasta quanto esausta.

Doveva essere solo una passeggiata ed è stata, invece, un’altra corsa verso la spensieratezza dei temerari giorni che furono.

Sotto l’effetto di muscoli intossicati dall’acido lattico che, a stento, reggono scheletri e poco altro, noi tre (sempre i soliti!) ci guardiamo negli occhi e ci mentiamo – coscienti di farlo - ancora una volta: “E stata l’ultima! Sul prossimo biglietto ci sarà scritto tribuna!”. Risate a crepapelle, baci e abbracci.

L’indomani vedrò spuntare la mia dannata faccia tra il pubblico, durante il servizio messo in onda dai vari telegiornali.

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

hey boy manca l'intercessione di cosiddetto "piripicchio"...pensi ne avra' a male????

egno passepartout

Francesco Santoro ha detto...

Naaa! :-D